Secondo uno studio dell’Università Tor Vergata di Roma l’89% degli infermieri è stato vittima di violenza durante la sua vita professionale: circa 239mila, di cui 180mila infermiere donne. E per oltre 130mila (il 58%) si è trattato di un’aggressione fisica. Di tutte le aggressioni al personale sanitario secondo i dati INAIL, il 46% sono a infermieri e il 6% a medici (gli infermieri sono spesso i primi professionisti ad intercettare le persone che si rivolgono ai servizi e quindi quelli più soggetti). Quindi le aggressioni a infermieri sono circa 5.000 in un anno (anche se spesso quelle verbali non sono neppure denunciate), 13-14 al giorno in media.
Per questo dal primo dicembre 2020, grazie al co-finanziamento della Federazione Nazionale dell’Ordine degli Infermieri FNOPI, ha avuto avvio lo studio nazionale multicentrico sugli episodi di violenza rivolti agli infermieri italiani sul posto di lavoro (ViolenCE AgainSt nursEs In The workplace CEASE-IT).
I promotori dello studio sono Annamaria Bagnasco, Ordinario di Scienze infermieristiche nel Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova, e Loredana Sasso, presidente della Sigma Italia Alpha Alpha Beta. Allo studio hanno aderito nove Università italiane rappresentate dai professori referenti del Settore Scientifico Disciplinare delle Scienze Infermieristiche generali cliniche e pediatriche. Il Comitato scientifico dello Studio è internazionale.
La violenza verbale e fisica sugli operatori sanitari e in particolare sugli infermieri è un dato in crescita e continuamente presente anche in questo periodo di pandemia. L’impatto negativo che questo fenomeno può avere sulla sicurezza, sull’efficacia dell’assistenza e sulla salute fisica ed emotiva degli operatori, rendono necessari studi per comprendere a fondo tutti i fattori che intervengono: fattori personali, collegati al gruppo di lavoro, alle caratteristiche delle strutture, alle risorse e all’ambiente di lavoro.
La violenza sul posto di lavoro è definita dal National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH) come “aggressione fisica o tentativo di aggressione, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica nel posto di lavoro”. Questi atti sono, nella maggior parte dei casi, eventi con esito non mortale ovvero aggressioni o tentativi di aggressione, fisica (spinte) e verbale (urla, insulti). Le cause del fenomeno sono multifattoriali e includono: personale ridotto, elevato carico di lavoro, tipologia di pazienti.
“La prevenzione degli episodi di violenza a danno degli operatori sanitari richiede – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) – che l’organizzazione identifichi i fattori di rischio per la sicurezza del personale e ponga in essere le strategie organizzative, strutturali e tecnologiche più opportune, diffonda una politica di tolleranza zero verso atti di violenza nei servizi sanitari, incoraggi il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi e faciliti il coordinamento con le Forze dell’ordine o altri soggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie atte a eliminare o ad attenuare la violenza nei servizi sanitari.”
L’obiettivo principale dello studio è descrivere le caratteristiche degli episodi violenza vissuti dagli infermieri sul posto di lavoro negli ospedali italiani e sul territorio e, identificare i fattori predittivi di violenza. “Solo l’impegno comune di tutti – conclude Mangiacavalli – può migliorare l’approccio al problema e assicurare un ambiente di lavoro sicuro. E questo studio è il primo passo”.