LONGARONE. Sono stati essenzialmente tre gli errori umani che il 9 ottobre 1963 furono responsabili di una delle più grandi tragedie italiane: quella del Vajont. La costruzione della diga, progettata dal 1926 al 1958 dall’ingegnere Carlo Semenza, in un territorio geologicamente non adatto, e aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza, oltre ad aver evitato di dare l’allarme per evacuare le popolazioni lì residenti causarono il disastro umano e ambientale. Si contarono quasi 2mila vittime nel bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont (al confine tra Friuli e Veneto), a causa di una frana staccatasi dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l’omonima diga. L’acqua e i detriti trascinarono via le popolazioni di Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell’onda generata provocò l’inondazione e la distruzione dei comuni del fondovalle veneto, tra cui Longarone. Alle ore 22.39 una massa compatta di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti fu trasportata a valle, e due ondate intrappolarono i paesi e gli abitanti di quei luoghi. I progettisti e dirigenti della Sade, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, occultarono, pur essendone a conoscenza, la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico.
Le proteste dei residenti nelle zone in cui fu costruita la diga, e i dubbi degli organi preposti al controllo del progetto a nulla valsero, poiché i lavori di costruzione iniziarono nel 1956 e senza un’effettiva autorizzazione ministeriale. Persino Tina Merlin, giornalista dell’Unità all’epoca dei fatti, denunciò attraverso alcuni articoli il pericolo di frana del Monte Toc. “Si era dunque nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione, si denunciava l’esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono rendere certo tranquilli“, scrisse Merlin, che, prima della tragedia, venne denunciata per diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico, processata, e poi assolta dal Tribunale di Milano.
A seguito di quanto accadde fu aperta un’inchiesta giudiziaria. Il procedimento penale coinvolse Alberico Biadene, Mario Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto Ghetti. Due di questi, Penta e Greco, nel frattempo, morirono, mentre Pancini, si tolse la vita L’accusa chiese 21 anni di reclusione per tutti gli imputati (eccetto Violin, per il quale ne vennero richiesti nove) per disastro colposo di frana e disastro colposo d’inondazione, aggravati dalla previsione dell’evento e omicidi colposi plurimi aggravati. Alcuni scontarono anni di carcere, altri furono assolti. Il comune di Longarone fu risarcito per un ammontare di lire 55.645.758.500. Nel febbraio 2008, durante l’Anno internazionale del pianeta Terra dichiarato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il disastro del Vajont venne citato come un caso esemplare di “disastro evitabile” causato dal “fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare“. La legge 101 del 14 giugno 2011 ha istituito la Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali, e oggi, 9 ottobre, il comune di Longarone celebra le Giornate del ricordo in memoria della tragedia del Vajont.
Simona Cocola