Dopo aver compreso che la percezione odierna dell’ambiente è molto diversa rispetto a com’era poco più di 20 anni fa ed averne elencate talune delle principali cause, ritengo sia opportuno anche evidenziare alcuni margini del nuovo rapporto che si è venuto a creare nel recente passato tra l’essere umano e l’ambiente.
Occorre evidenziare anzitutto che, pur oltrepassato il buio del secolo scorso, l’uomo non ha certo rinunciato a conservare il proprio ruolo antropocentrico ed anzi, grazie all’esperienza maturata, ha rielaborato e riadattato le proprie risorse al fine di trovare nuove soluzioni per migliorare la qualità della vita di tutti i giorni.
L’intervento legislativo è stato in alcuni casi solo l’atto finale con cui sancire questo nuovo orientamento. Ed è così che, quasi all’improvviso, e finalmente aggiungerei, si è iniziato a parlare di ambiente ed ecologia un po’ tutti i settori produttivi passando dalla tecnologia all’energia, dall’edilizia all’agricoltura, dal turismo alla ricerca e via sino ai settori terziari dei trasporti e quello primario della gestione dei rifiuti.
Per meglio comprendere l’impatto di questo rapporto che è di connessione e di reciproca dipendenza, vediamone solo alcuni esempi.
Lo sapete che è stato tutto italiano il primo progetto volto a rivoluzionare il concetto classico di urbanizzazione delle nostre città?
Il progetto ha visto il riconoscimento di numerosi premi negli anni per l’innovazione, l’equilibrio e l’originalità dell’idea e ha riscosso notevole seguito tant’è vero che molte sono le amministrazioni locali che hanno deciso di copiare l’intuizione dei nostri connazionali.
Si tratta del famoso “bosco verticale” di Milano: due torri alte una 110 metri e l’altra 76 metri circondate da arbusti, piante e vegetazione che consentono all’umidità di formarsi in maniera salubre, che filtrano le polveri sottili e mitigano il calore estivo, che depurano l’aria, che attutiscono l’inquinamento acustico.
L’essere umano si è servito di Madre Natura senza tuttavia spogliarla della propria dignità.
È sufficiente passeggiare tra le corsie di ogni supermercato per trovare prodotti biologici di ogni genere, spaziando dai frutti freschi e secchi agli ortaggi, dalla carne alle uova ed ai latticini e via via, ogni settimana troviamo articoli nuovi, sempre più variegati, da aggiungere ai nostri carrelli famelici.
Ci sono voluti anni e anni ma alla fine l’uomo sta realizzando che la qualità del “carburante” con cui forniamo energia al nostro corpo è importante e che l’unico modo per poter prevenire l’insorgere di gravi patologie è quello di affidarci a prodotti naturali, i più naturali e meno raffinati possibili (sul punto mi permetto di consigliare di seguire su internet le video conferenze del prof. Franco Berrino, già direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano).
Ed è così che è nata anche una nuova forma di economia, quella del “BIO”, grazie anche e soprattutto al supporto costante delle politiche europee.
Il recente Regolamento UE n. 848/2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici è entrato in vigore nei paesi dell’Unione a far data dall’1 gennaio 2021 ed è il testo legislativo di riferimento che sancisce le regole a cui si devono attenere coloro che intendano dedicarsi alla produzione biologica.
Tra le tante, ne andiamo ad elencare solo alcune, in campo di coltivazione si deve limitare l’utilizzo di sostanze fitosanitarie (quelli che abbiamo sempre chiamato “pesticidi”) ed è vietato l’uso di OGM e di ormoni, nel campo dell’allevamento sussiste l’obbligo di alimentare il bestiame esclusivamente con prodotti a loro volta biologici ed anche il vino biologico deve essere ottenuto con uve e lieviti biologici.
Tutto questo avviene al servizio dell’uomo e con il servizio (questa volta responsabile) dell’ambiente.
Un altro mondo che ci vede coinvolti quotidianamente è quello del lavoro ed è un ambito nel quale il rapporto uomo/ambiente, sebbene stia procedendo verso una sorta di pace diplomatica, fatica ancora a trovare la sua giusta dimensione.
Lo smart working ne è un esempio virtuoso ma se parliamo di trasporti le prospettive sono fumose tanto quanto lo smog che avvolge le nostre città.
Quanti di noi usano le proprie vetture tutti i giorni per recarsi sul posto di lavoro?
Il punto è particolarmente dolente se esaminiamo quanto emerge dall’ultima relazione dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico) secondo la quale “il riscaldamento globale sta provocando un aumento dei cambiamenti nell’andamento delle precipitazioni, negli oceani e nei venti in tutte le regioni del mondo; in alcuni casi si tratta di cambiamenti irreversibili”.
Le politiche ambientali dei paesi sviluppati hanno già iniziato la virata verso una nuova rotta ma il traguardo della riduzione delle emissioni è ancora lontano senza dimenticare che molti sono quei paesi che non intendono adottare scelte responsabili mentre altri si limitano a parlarne senza effettivamente darne effettiva attuazione.
Per quanto ci riguarda più da vicino l’Unione Europea si sta muovendo su quattro fronti con lo scopo di trovare soluzioni per spostare un maggior numero di utenti su rotaia e su vie navigabili interne, per incentivare l’utilizzo di mezzi elettrici, per consentire alla mobilità urbana di raggiungere il massimo dell’efficienza e per favorire gli utenti nella scelta di differenti opzioni di trasporto.
In Italia, infine, il PNRR contiene una Missione che si pone l’obiettivo di rafforzare ed estendere l’alta velocità ferroviaria nazionale e potenziare la rete ferroviaria regionale (Missione 3: “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”).
Chi vivrà, vedrà.
Se vogliamo davvero vivere in un mondo ecosostenibile non possiamo negare l’esistenza di un rapporto di interdipendenza che lega l’uomo all’ambiente.
A ben vedere entrambi oggi hanno infatti necessità del reciproco rispetto per poter sopravvivere.
Alla prossima puntata.
Stefano Fioramonti
Avvocato – Giurista Ambientale