• 19 Dicembre 2024
  • TURISMO

Una gita a… Soncino e alla maestosa Rocca Sforzesca

Oggi vi proponiamo una gita a Soncino, in provincia di Cremona, classificato tra i borghi più belli d’Italia e molto interessante da visitare soprattutto per l’imponente rocca sforzesca. Se non avete mai fatto vi consigliamo di andarci anche perché il castello di Soncino è tra le rocche meglio conservate del Nord Italia.

Per lungo tempo fu residenza della famiglia Stampa e fu proprio il marchese Ermete I che decise di aggiungere alla rocca il rivellino per fortificarlo e renderlo ancora più sicuro. La particolarità è che decise di rivolgerlo verso il borgo: pare, infatti, che i suoi nemici più temuti fossero proprio i suoi sudditi.

L’ultimo della casata degli Stampa lasciò il castello nel 1876 ridotto quasi a un rudere. Solo successivamente l’architetto Luca Beltrami, lo stesso che ricostruì il Castello Sforzesco di Milano, decise di restauralo secondo i canoni del ripristino architettonico storico, ovvero basandosi sulle testimonianze degli archivi.

La Rocca Sforzesca è alta 28 metri e larga 73 metri si articola in due strutture quadrilatere.

Descrizione della Rocca

II Rivellino. Costituiva uno sbarramento fortificato, che doveva assorbire gli sforzi di sfondamento degli assalitori; due scale scoperte permettono tutt’ora la salita allo spalto. Oltre all’uscita verso l’abitato, il Rivellino ne ha una verso la campagna, attraverso un ponte levatoio con un massiccio ponte merlato. Il raccordo tra il Rivellino e la struttura maggiore è operato da due ponti levatoi: uno per pedoni e l’altro per cavalieri e carrozze.

La Rocca. Superato l’androne principale, ecco il piccolo cortile cinto da massicce cortine murarie, percorse da camminamenti con spalti merlati. Il sotterraneo: subito a destra, s’apre una scaletta, la quale porta al sotterraneo della Torre del Capitano, Torre del Castellano. Scendendo, si raggiunge dapprima il locale che ospitava una porta levatoia, la quale si abbassava sul pontile in muratura, che superava il fossato per introdurre al cunicolo che collegava la Rocca al complesso conventuale di Santa Maria delle Grazie. Uno dei locali, con un rialzo giaciglio lungo una parte, fungeva da prigione.

La Torre del Capitano. Una scala interna conduce dal sotterraneo all’abitazione del castellano. La torre è costituita da due locali sovrapposti. Il locale a piano cortile è dotato di un grande camino e d’una finestra. Un’apertura nel muro orientale, presso l’angolo, ospita il pozzo per l’acqua ad uso domestico. La stanza superiore, con pozzo e latrina, era collegata sia allo spalto settentrionale che a quello occidentale da porte levatoie. La ” Torre del Capitano” costituiva l’estrema possibilità di resistenza e difesa, da qui gli assediati potevano raggiungere l’uscita verso Santa Maria delle Grazie. Una scaletta, che si apre nell’androne della porta verso lo spalto, guida al piano della merlatura ghibellina, ossia a coda di rondine.

Le torri a base quadrata. Poste agli angoli orientali, sono identiche. La stanza a piano cortile ha una finestra il soffitto a volta a lunette; due porte conducono, per ripide scalette in laterizio, l’una al sotterraneo costituito da due ordini di locali sovrapposti, l’altra al piano superiore, aperto sugli spalti, un’altra scaletta guida al piano della merlatura. Nella torre di sud-est, il vano al piano degli spalti fu adattato a Cappella.

La torre a base circolare. Presenta un angolo rientrante che permette l’inserimento degli spalti nel baluardo. L’originalità della torre è sorta dalla necessità di adeguare a baluardo un torrione che, con altri otto, costituiva la barriera delle mura del borgo. Al piano degli spalti s’apre un vano a pianta circolare a calotta sferica; attorno ad esso si snoda una scaletta che porta al piano della merlatura, ove in un pilastro cilindrico una scaletta a chiocciola conduce all’osservatorio, aperto sul tetto conico della torre. È il belfredo.

Il grande fossato che circonda la rocca era diviso in tre settori: permanentemente inondato d’acqua il primo, ad occidente verso la campagna l’acqua per riempire il fossato veniva prelevata da una diramazione della Roggia Bina.

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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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