Il periodo delle vacanze estive vede oramai la sua conclusione, i negozi riaprono, i professionisti riaccendono computer e cellulari, le scuole preparano banchi e lavagne mentre gli uffici pubblici tornano ad essere popolati come qualche settimana fa: è il preludio al ritorno della normalità.
Dopo avere staccato la spina dal “tran tran” quotidiano ci ritroviamo, inesorabilmente, ad affrontare i problemi di tutti i giorni dal lavoro alla famiglia alle spese per la casa (ahi noi, le bollette!) senza però con ciò tralasciare l’informazione sul tema principale di questa rubrica: l’ambiente. Finite le ferie, torniamo a preoccuparci e ad occuparci anche di lui. Oggi parleremo della delicata questione delle etichettature e iniziamo, come d’abitudine, dalla storia della normativa di riferimento.
All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso l’Unione Europea ha deciso di affrontare e disciplinare un primo problema spinoso: quello relativo alla gestione degli imballaggi.
Spinta dalla necessità di armonizzare le misure nazionali in materia allo scopo di prevenirne e ridurne l’impatto sull’ambiente degli Stati membri e dei Paesi terzi, per assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, per garantire il funzionamento del mercato interno e prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi nonché distorsioni e restrizioni alla concorrenza nella Comunità, è venuta alla luce la Direttiva 94/62/CE del 20 dicembre 1994.
La Direttiva ha riconosciuto l’importanza della necessità di riutilizzare gli imballaggi (art. 5), di recuperarli e riciclarli (art. 6), di adottare sistemi volti alla restituzione, alla raccolta e al recupero (art. 7), disponendo che gli Stati membri provvedessero ad immettere sul mercato soltanto gli imballaggi conformi ai requisiti definiti dalla stessa Direttiva (art. 9) ed individuando gli obiettivi di recupero e di riciclaggio degli imballaggi.
La seconda questione affrontata dall’Unione, conseguente ed all’evidenza collegata alla precedente, è invece stata quella relativa alle etichette. Il legislatore comunitario ha infatti ritenuto indispensabile che anche le marcature da apporre agli imballaggi avessero una loro normativa di riferimento, per informare il consumatore circa il materiale con cui l’imballaggio medesimo era stato prodotto.
Una scelta politica e legislativa che è stata anche naturale conseguenza di un fatto, a parer mio di un’abitudine figlia del consumismo, e cioè che la gran parte delle confezioni che venivano adoperate per impacchettare un prodotto erano destinate ad essere poi buttate, come fossero un bene “usa-e-getta”.
Con l’art. 8 della Direttiva 94/62/CE è stato quindi disposto che per facilitarne la raccolta, il reimpiego e il recupero incluso il riciclaggio, l’imballaggio dovesse indicare, ai fini della sua identificazione e classificazione da parte dell’industria interessata, la natura dei materiali di imballaggio utilizzati precisando come essi dovevano essere muniti dell’opportuna marcatura apposta sull’imballaggio stesso o sull’etichetta e doveva essere chiaramente visibile e di facile lettura.
Per la prima volta l’UE ha introdotto una disciplina sulle etichette evidenziando come l’applicazione di tale marcatura, che doveva essere visibile e di chiara comprensione per tutti, fosse utile ai fini della diversificazione dell’imballaggio sia quando fosse stato trattato come un rifiuto sia quando fosse stato trattato come bene oggetto di riciclo e riutilizzo.
Con la Direttiva 94/62/CE l’UE di fatto ha imposto agli Stati membri sia di eseguire una preliminare verifica dei materiali impiegati per realizzare gli imballaggi sia di rendere noto al consumatore finale quale fosse la natura dei detti materiali, di modo da agevolarne una saggia differenziazione.
Trascorsi quasi 15 anni l’Unione ha apportato diverse modifiche alla Direttiva 94/62/CE: l’ultima con l’entrata in vigore della Direttiva UE 2018/852 del 30 maggio 2018.
Nelle premesse al nuovo testo è stato evidenziato che “i rifiuti dispersi, nelle città, nelle campagne, nei fiumi, nei mari e altrove, hanno effetti negativi diretti e indiretti sull’ambiente, sul benessere dei cittadini e sull’economia, e i relativi costi di pulizia costituiscono un inutile onere economico per la società. Fra gli oggetti che più comunemente sono rinvenuti sulle spiagge figurano molti rifiuti di imballaggio, che hanno un impatto a lungo termine sull’ambiente e, al contempo, influiscono negativamente sul turismo e sul pubblico godimento di tali aree naturali”.
Tra i nuovi obiettivi delle politiche dell’Unione, finalmente riconosciuti per iscritto, ci sono quelli di migliorare la gestione dei rifiuti per salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana, garantire un utilizzo efficiente e razionale delle risorse naturali e promuovere i principi dell’economia circolare.
L’Italia ha recepito la novella comunitaria con il D. Lgs. n. 116/2020 estendendo a tutti gli imballaggi l’obbligo di una adeguata etichettatura secondo modalità stabilite dalle norme tecniche applicabili “per facilitare la raccolta, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio degli imballaggi, nonché per fornire una corretta informazione ai consumatori sulle destinazioni finali degli imballaggi”.
Tale obbligo, salvo nuove proroghe, entrerà in vigore a partire dall’1 gennaio 2023.
Le premesse alla Direttiva 94/62/CE affermano che “il consumatore ha un ruolo determinante nella gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio e deve quindi essere opportunamente informato per adeguare i suoi comportamenti e i suoi atteggiamenti”.
Mai considerazione è stata più azzeccata ed attuale. Se è vero che per chi produce un imballaggio vi è l’onere di seguire determinate regole sui materiali da impiegare e sulle marcature da applicare altrettanto vero è che anche chi utilizzerà quel prodotto dovrà comportarsi in maniera altrettanto virtuosa.
Oggi sappiamo che per ogni imballaggio vi è l’obbligo di fornire tutte le indicazioni per poterlo smaltire correttamente: è compito dell’uomo quello di conoscere e applicare quelle informazioni per una corretta differenziazione del rifiuto.
Solo grazie ad una saggia condotta umana perseguiremo gli obiettivi di una reale tutela dell’ambiente e di una economia circolare.
Stefano Fioramonti
Avvocato – Giurista Ambientale