Siamo a un bivio, e dobbiamo scegliere quale strada imboccare: una freccia indica “Stato imprenditoriale”, mentre l’altra freccia,orientata nel senso opposto, indica “Libero mercato”.
Sembra che manchi una terza freccia, quella che indica “Stato assistenziale”. Non è che manchi, per la verità: è la direzione da cui proveniamo, quella in cui lo Stato assiste banche, imprese, lavoratori e famiglie. Percorrendo questa via, dal 2008 (periodo della crisi finanziaria) il debito pubblico è cresciuto senza freni.
C’è chi sostiene che ci sia un “debito cattivo” e un “debito buono”: il debito buono potrebbe essere quello che serve per farsi una casa (o per fare investimenti produttivi, da parte di imprese e dello Stato); mentre il debito cattivo potrebbe essere quello che viene impiegato per giocare d’azzardo (o per pagare vecchi debiti con nuovi debiti ottenuti a tassi di interesse più elevati). Ma anche il debito buono potrebbe trasformarsi in debito cattivo se si continua a finanziare progetti che non raggiungono il loro scopo (come l’avviamento al lavoro dei giovani), o imprese che non sono in grado di autosostenersi. Perciò, non esiste un debito buono o un debito cattivo: esiste il debito e basta.
C’è chi sostiene la necessità di liberi mercati. Ma cosa significa “libero mercato”? Significa che dovrebbero poter essere gli individui – piuttosto che i governi – a decidere cosa consumare e cosa produrre; significa limitare la “cattiva influenza” dello Stato su banche, famiglie e imprese. Ma non esiste alcuna buona o cattiva influenza dello Stato, esiste solamente l’influenza dello Stato che quando a banche, imprese, lavoratori e famiglie non va allora viene chiamata “cattiva influenza”.
Lo Stato ha un bilancio da gestire, in cui la somma delle entrate e delle uscite deve essere pari zero (è il pareggio di bilancio, in cui le spese dello Stato per beni e servizi uguaglia le entrate derivanti dalle tasse dei contribuenti). Se lo Stato ha il suo bilancio in pareggio…perché deve indebitarsi?
Lo Stato ha forse la necessità di indebitarsi per finanziare banche e imprese in difficoltà? Ma se lo Stato funge da finanziatore, non sarebbe bene che prendesse parte attiva nei progetti che finanzia? C’è poco Stato nell’economia. Lo Stato dovrebbe partecipare a delle joint-venture con banche e imprese, stringere con i partner accordi in cui le parti si impegnano a collaborare temporaneamente per raggiungere un determinato obiettivo. A obiettivo raggiunto ognuno tornerebbe sulla propria strada. Se lo Stato eroga un finanziamento senza essere parte attiva nelle decisioni su come tale finanziamento verrà impiegato, il rischio è che diventi un finanziamento senza fine (è il caso di Alitalia). È proprio questo genere di finanziamento “a fondo perduto” che genera (lo si vuole proprio dire?) il “debito cattivo”, che sarà tanto più cattivo quanto più alto sarà il tasso di interesse che il mercato chiederà per prestare denaro.
Sarà pure vero, come sosteneva il prof. Sergio Ricossa, che occorre fare in modo che l’economia dipenda meno dalla politica è più dalla concorrenza, dal libero mercato, perché (sue parole) “un imprenditore può corrompere un uomo politico, un partito, una authority, un garante; ma non può corrompere un concorrente sul mercato internazionale. Sì certo, si può tentare di formare cartelli, trust, monopoli; ma senza il sigillo pubblico queste cose non reggono, non durano a lungo”. Ma sembrerebbe un’impresa quasi impossibile fare in modo che l’economia dipenda meno dalla politica, visto che economia e politica sono così strettamente saldate alla radice, come testimoniano le parole “economia politica “ e “politica economica”.Forse l’economia dovrebbe dipendere meno non già dalla politica ma dai partiti (ma qui il discorso si amplia). Fatto sta che l’economia dipende dalla politica, e quindi dallo Stato.
Allora: troppo Stato nell’economia rende l’Italia meno libera? Troppo Stato nella “economia cattiva”, con aiuti a pioggia a banche, imprese, lavoratori e famiglie, rende l’Italia certamente schiava del debito pubblico. Più Stato nella “economia buona”, con investimenti stataliassieme a investimenti privati, rende l’Italia certamente più libera dalla schiavitù della disoccupazione, della sottoccupazione e della miseria.
Claudio Maria Perfetto