La disfatta di Teutoburgo fu una delle tre più clamorose sconfitte dell’esercito romano, preceduta solo da quella di Canne, al tempo di Annibale, e seguita solo da quella di Adrianopoli del 378. Le legioni di Publio Quintilio Varo si trovavano, il 9 d.C., nel cosiddetto Saltus Teutoburgensis, una foresta montuosa della Bassa Sassonia, oggi chiamata “della Lippe”. I principali nemici dei romani, i cherusci, che alcuni anni prima avevano subìto gravi sconfitte da parte dell’imperatore Tiberio, si erano stabiliti in quella zona, occupando entrambe le sponde del fiume Weser.
Durante i mesi estivi era del tutto normale disporre lo spostamento di truppe romane nel cuore della Germania, ma questa volta Varo aveva un’altra ragione: le sue tre legioni (XVII, XVIII e XIX) dovevano anche dimostrare la forza di Roma dinanzi a popolazioni non ancora del tutto sottomesse, come appunto i cherusci. Il suo predecessore, Saturnino, era stato più accorto, perché considerava poco adatta una tattica del genere con popolazioni numericamente forti, agguerrite e gelose della propria autonomia. Varo però preferiva sempre agire con spietata durezza: già in Siria, quand’era stato governatore, aveva fatto crocifiggere duemila ribelli. Egli peraltro contava sull’appoggio dei nobili o di quelli che potevano vantare stirpi gloriose, promettendo loro cariche di prestigio e ricchezze: in particolare gli erano vicini Segeste e Arminio (quest’ultimo aveva già comandato truppe ausiliarie dell’esercito romano). Verso la metà di settembre le legioni si mossero verso la foresta. Arminio garantiva per la sicurezza, ma Segeste cominciò a sospettarlo di tradimento. Le spie romane mandate in perlustrazioni riferirono di aver avvistato numerosi germani in zona, ma Varo continuò ad aver fiducia in Arminio. Il 21 settembre iniziò lo scontro, che si protrasse per tre giorni consecutivi. Varo comandava una forza di oltre 20.000 uomini, militari di professione ben addestrati ed equipaggiati, decisamente superiori, sulla carta, ai 15.000 cherusci, cui si aggiunsero alcune migliaia di marsi e catti. I germani avevano alcuni vantaggi di non poco conto: conoscevano perfettamente la foresta, avevano lance e spade molto lunghe, disponevano di alcune unità di cavalleria. Il regista di questa imboscata fu lo stesso Arminio, che fece attaccare le legioni da tutte le parti, anche in maniera disordinata, per poterle completamente disorientare: i germani utilizzarono i nascondigli delle pendici boscose, bloccarono i passaggi convogliando la battaglia verso le paludi e le barriere montuose, sfruttarono a fondo la fitta vegetazione.
Non ci fu nulla da fare per i romani, non si salvò nessuno, neppure Varo. La sconfitta fu talmente grande che Roma decise di abbandonare una parte della Germania, utilizzando il Reno come confine naturale dell’impero. Nel 14-16 Germanico volle vendicare gli sconfitti attaccando i cherusci sul Weser, ma, nonostante i successi iniziali, fu richiamato in patria. Ormai l’impero non aveva più le forze per organizzare grandi opere di conquista e di espansione.