Ieri la punta di diamante azzurra del salto in alto ha pianto, ma di gioia: nella finale olimpica di specialità Gianmarco Tamberi è riuscito a salire sul primo gradino del podio insieme al qatariota Barshim. Cinque anni fa un infortunio lo fa aveva fatto uscire di scena sul più bello l’half-shave, impedendogli di affrontare i Giochi Olimpici di Rio del 2016. È però tornato a Tokyo 2020 per saldare i conti in sospeso ed è riuscito a portare a casa l’oro.
Questo successo è una grande dimostrazione di come il lavoro, la tenacia e la forza di volontà porti a compiere imprese eccezionali nonostante le difficoltà della vita. Gimbo ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo e rappresenta un esempio di come nella vita l’importante non sia cadere e quante volte accada, ma il modo in cui ci si rialza: “La nostra gloria più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarci ogni volta che cadiamo“. La citazione è del grandissimo Nelson Mandela, che in un’altra occasione affermò: “Non giudicatemi per i miei successi ma per tutte quelle volte che sono caduto e sono riuscito a rialzarmi“.
Tokio 2020 è stato il riscatto di Gianmarco Tamberi. Ieri alle tre di pomeriggio, l’Arena di Ariake si è riempita. E non di spettatori a cui, per ovvie ragioni, è impossibile assistere: l’Arena era colma di gioia, di speranza e dei fantasmi del passato che sono stati risucchiati dentro una medaglia: quella d’oro. Così Giambo, come tutti lo chiamano, lo abbiamo visto lasciarsi andare a terra con un pianto liberatorio e toccarsi il petto all’altezza del cuore: quel cuore ricolmo di gioia che ha emozionato milioni di italiani e di sportivi di tutto il mondo.
Cinque anni fa l’altista azzurro era tra i favoriti delle Olimpiadi tenutesi a Rio nel 2016. Aveva infatti vinto a Portland e ad Amsterdam lo stesso anno, diventando rispettivamente campione mondiale ed europeo. Tra i partecipanti dei Giochi, però, era assente. Come mai?
A Montecarlo, durante una competizione, stabilisce il record italiano: salta l’asticella piazzata sui 2.39 metri di altezza. Ma, subito dopo, nel tentare di saltare i 2.41, arriva l’infortunio al tendine d’Achille che non gli permette di partecipare ai Giochi. Così, il ventinovenne di Civitanova Marche ha visto buio. “Ho pianto per una settimana intera dopo l’infortunio”. Poi la fidanzata, Chiara Bontempi, gli scrive qualcosa sul gesso che fa sperare ancora l’atleta: “ROAD TO TOKYO 2020”. Quello stesso gesso era oggi con l’azzurro in pista durante il suo ultimo salto: non l’ha mai buttato in segno di volontà e resilienza.
Giambo non ha dimenticato cosa significhi credere, nonostante le avversità. In questi cinque anni, però, non è mai rimasto solo. Ha avuto al suo fianco, infatti, un’equipe medica che lo ha aiutato a riprendersi dall’infortunio, il padre – ex atleta e suo allenatore -, la fidanzata, gli amici, e il resto della famiglia.
Il campione del Qatar, Mutaz Essa Barshim, ottiene la stessa identica valutazione dell’azzurro e decidono, di comune accordo, di condividere l’oro. Anche lui aveva subito lo stesso infortunio al tendine d’Achille e sa bene cosa significhi credere che tutti i propri sforzi siano vani. Ma un vincente si riconosce, più che dai muscoli, dal suo cuore. Così, insieme, hanno dimostrato al mondo intero che dedizione, forza di volontà e il crederci fino in fondo sono le armi vincenti per volare tanto in alto quanto i loro salti.
Quell’energia arriva fino a Marcell Jacobs che, nei minuti successivi alla vittoria dell’half-shave, deve correre i 100 m. Così carica e rende onore all’appellativo datogli, figlio del vento: è oro anche per lui con i suoi 9.80 secondi di tempo che segnano il record europeo. Si tratta di 22 centesimi in meno rispetto quanto ha corso Usain Bolt, record mondiale della disciplina.