C’è chi lo fa per obbligo di legge e chi per moda e poi ci sono quelli che lo fanno perché ci credono sul serio. La parola sostenibilità non è più un tabù ed anzi ormai è entrata a far parte del lessico quotidiano.
L’Enciclopedia Treccani la definisce come “la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri” riprendendo il Rapporto Bruntland del 1987 (“Our common future” ovverosia “Il futuro di tutti noi”).
Ma cosa significa realmente essere sostenibili?
Anzitutto per una svolta verso la transizione ecologica non occorre necessariamente far parte di qualche grosso ramo industriale, anche se si tratta di quelli con emissioni inquinanti di maggiore impatto. Certamente questi ultimi soggetti sono stati i primi ai quali sono state rivolte norme impositive relative a traguardi di sostenibilità e di prevenzione dei rischi sociali ed ambientali.
Ma se è vero che i colossi dell’industria mondiale sono i responsabili del grande inquinamento altrettanto vero è che costituiscono una piccola percentuale del tessuto imprenditoriale. Così con il diminuire delle dimensioni dell’impresa ne aumentano il numero e la concentrazione (pensiamo per esempio alle Piccole Medie Imprese che rappresentano oltre il 90% dei soggetti commerciali presenti sul nostro territorio nazionale).
Insomma, più grandi sono e meno ce ne sono. Più sono piccole, più ce n’è. Un po’ come gli elefanti e le formiche.
Sappiamo che le grandi imprese sono quelle più controllate: a livello europeo la Direttiva 2014/95/UE del 22 ottobre 2014 (“Non Financial Reporting Directive, NFRD”) ha imposto l’obbligo per questi soggetti di presentare annualmente un Bilancio di Sostenibilità, ovverosia una dichiarazione contenente informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell’andamento del gruppo, dei suoi risultati, della sua situazione e dell’impatto della sua attività.
Si tratta di un obbligo che nei prossimi anni verrà esteso anche ad imprese dimensionalmente più piccole sino ad interessare anche le PMI quotate in borsa. È evidente come l’indirizzo politico comunitario abbia adottato strategie in grado di modificare profondamente i mercati e, come conseguenza, lo stesso modo di fare impresa.
In questo contesto di modernità è fondamentale ed opportuno giocare d’anticipo per evitare di rimanere esclusi sia in termini di progresso che di competitività.
Lo sconvolgimento in essere dei nostri mercati avrà importanti ripercussioni sull’approccio imprenditoriale. Ci sarà un freno agli imballaggi di plastica e più spazio a quelli di derivazione vegetale. L’organizzazione della logistica verrà ottimizzata come già peraltro hanno iniziato a fare da tempo i grandi distributori (Amazon, etc.).
Occorrerà saper prevenire l’insorgenza di nuove emergenze come quella pandemica scaturita dal Covid e quella energetica provocata dalla crisi russo ucraina e tutti o quasi arriveranno a dotarsi di strumenti per l’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili.
Verranno implementati ulteriormente i sistemi di gestione dei rifiuti con maggiore attenzione alle possibilità di riciclo e riutilizzo. Senza dimenticare il ruolo fondamentale che verrà giocato da coloro che avranno già scelto la strada della sostenibilità e che influenzeranno i produttori di beni ed i fornitori di servizi con le loro scelte.
Il tutto con l’obiettivo di rimanere al passo con i tempi che cambiano rapidamente e con le nuove ideologie che impongono agli imprenditori di sviluppare nuovo valore, non solo economico.
Sostenibilità sì, ma non solo per le imprese. Tutti noi, nel nostro piccolo, possiamo contribuire a questa grande rivoluzione con piccoli gesti che possono comportare grandi conseguenze.
Possiamo sensibilizzare le persone parlando dei problemi ambientali.
Possiamo renderci parti attive, riportando le giuste responsabilità nelle scuole e nelle case.
Possiamo diventare nuovi esempi di senso civico.
Possiamo con le nostre scelte sostenibili modificare gli equilibri di mercato: perché scegliere di acquistare un bene in una confezione realizzata in fibra vegetale può determinare un cambiamento nella scelta del packaging per coloro che vendono quel prodotto.
Come ho detto all’inizio, però, bisogna crederci e diventare i protagonisti di una vera rivoluzione culturale.
Stefano Fioramonti
Avvocato – Giurista Ambientale