Pochi giorni fa abbiamo pubblicato le interessanti considerazioni della Dott.ssa Fiorella Mandaglio relativamente ai danni che lo schermo (Tv, tablet, pc) può fare al cervello dei giovani, vista anche un recente studio effettuato dalla prestigiosa Università di Boston che afferma come questo ne risulti compromesso data una lunga esposizione e come si abbiano ripercussioni anche in futuro rispetto a chi non si é esposto agli schermi in modo smodato. A tal riguardo abbiamo chiesto un parere anche al Dott. Francesco Provinciali, già dirigente Ispettivo del Miur e giudice minorile, che non si é negato a questo piacevole confronto. Anzi ci ha detto che dalla sua, nell’editoriale che sotto vi riproporremo, ha cercato di fare una disamina ampia dei fenomeni distorsivi generati dai social e dal “buco nero” del WEB nei ragazzi e negli adolescenti.
Anche perché ci ha tenuto a precisare Provinciali, purtroppo il ‘consumo cerebrale’ e le patologie denunciate dall’Università di Baltimora nella sua ricerca recentemente pubblicata, circa la sovraesposizione allo schermo, non riguardano solo aspetti fisici ma anche e soprattutto i sentimenti, le emozioni, gli stili di vita, il mondo dei valori nell’universo delle esperienze esistenziali dei giovani. Per questo le ansie e le preoccupazioni di scuola e famiglia siano avvalorate da continui episodi “border line” e da una deriva diseducativa che sta avanzando ad una velocità impressionante.
Poi aggiunge Provinviali: “In una recente intervista realizzata con lo psichiatra Paolo Crepet mi ha parlato esplicitamente di rischio di “catastrofe educativa”, specie se le relazioni interpersonali formative in presenza sono sostituite dalla DaD e dall’isolamento a casa.
Io stesso posso riferire di una situazione problematica crescente, dalle audizioni dei minori, dei genitori, degli assistenti sociali, dalle CTU degli specialisti incaricati, raccolte c/o il Tribunale per i minorenni, in anni di esperienza di ascolto e di valutazione dei casi”. Eccovi il suo editoriale.
“Quando scrissi per la “27° ora” del Corriere della Sera l’articolo “Eyeballing: la vodka negli occhi come collirio. I giochi estremi che divertono i ragazzi” tra i vari commenti postati alcuni dubitavano che tra gli adolescenti italiani circolassero passatempi come il ‘knockout game’ (prendere a pugni un passante a caso e lasciarlo per terra tramortito) o il ‘balconing’ (saltare da un balcone facendo a gara nel salire di piano in piano) e poi ancora ‘l’extreme drinking’ (misurarsi a chi beve di più fino a svenire).
Le cronache della “microviolenza quotidiana” hanno via via gradatamente confermato che la meglio gioventù aveva da tempo abbandonato il Monopoli, le Barbie e i trenini elettrici per dedicarsi a passioni sempre più azzardate e rischiose. Non è necessario essere esperti dei comportamenti adolescenziali, basta leggere i giornali o ascoltare in TV le notizie riguardanti una certa evoluzione nei gusti e nelle tendenze: non da parte di tutti, sia ben chiaro ma qualche capofila che importa dal web esempi di “pensieri e comportamenti divergenti” dalle consuetudini domestiche, ludiche o oratoriali c’è sempre e a sua volta miete facile proselitismo, specie tra i soggetti più indifesi, con problematiche comportamentali, personologiche, socio-ambientali o scolastiche.
Un tempo i divertimenti scanzonati e goliardici descrivevano una gioventù in pantaloni corti e un po’ tontolina ma ora ascrivere i giochi estremi alle esperienze utili per crescere dopo un’infanzia infelice o ricondurli alle derive della globalizzazione non mi convince proprio.
Ci sono social network internazionali che introducono nella rete del web nuovi giochi, passatempi, tendenze che partono dal nulla ed si espandono come il Covid in tempo di pandemia: è il caso del cd. tik tok, nato guarda caso in Cina come Douyin nel settembre 2016, inizialmente col nome di musica.ly: permette la creazione di clip musicali che si scaricano come app. Ricordo il blocco di questa piattaforma da parte del Garante della privacy dopo l’episodio di Palermo dove una bambina di 10 anni era rimasta soffocata dalla cintura dell’accappatoio simulando il “Blackout challenge”: una sfida che prevede la compressione della carotide fino alla perdita dei sensi per creare un video da postare su Tik Tok.
Questi giochi circolano in rete e fanno nuovi proseliti disposti a provare, come circolano gli spinelli, gli episodi di bullismo e di stalking, la derisione dei più deboli o svantaggiati, le aggressioni omofobiche, gli atti di violenza: ricordo il caso di un ragazzo legato con una catena al collo, portato a spasso come un cane e poi appeso a un ponte come trofeo di una prodezza non da poco e non da tutti.
Si abbassa esponenzialmente la soglia della “prima volta”, in modo imprevedibile e sfuggente all’intuizione e al controllo di chi osserva e non si capacita di come la fase di adultizzazione selvaggia abbia un incipit che lambisce ormai l’età di passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
Attraverso lo schermo del PC, del tablet , dello smartphone passa di tutto. E non ci sono solo conseguenze patologiche per gli occhi o il cervello, anche il cuore, le emozioni, gli affetti, i sentimenti ne risultano feriti.
Abbiamo anche conosciuto i rituali degli atti di autolesionismo e ci stiamo interrogando su quanta parte di questo ennesimo derivato dal buco nero del web sia una finzione, una messinscena per creare nuove psicosi o sia invece un calcolato percorso di autodistruzione partorito da qualche mente malata o troppo digressiva per utilizzare tutte le potenzialità diffusive della rete al fine di suscitare curiosità morbose, desiderio di emulazione, smania di protagonismo, facendo leva sulle fragilità dei nuovi adepti e sulla loro propensione al rischio. Certo è che c’è molta apprensione rispetto ad una escalation di violenza che porta dritti alla distruzione della vita.
Ma cerchiamo di non assecondare derive da giudizio universale, misuriamo i modi e i toni del valutare certe news tutte da provare. Circolano manuali improvvisati di monitoraggio e controllo presso le famiglie e la scuola, per cogliere segnali di disagio e tendenza compulsiva verso il rischio e il rifiuto del proprio corpo, ci si chiede come sia possibile che adolescenti che hanno davanti a sé una intera esistenza la minimizzino fino a concepire la morte come scelta finale di un percorso mirato.
Rifiuto della società attuale, abominio dei suoi valori, disprezzo per il mondo degli adulti, odio verso la famiglia e le regole della vita sociale, desiderio di svincolarsi dall’appiattimento di una sopravvivenza senza scopo, ebbrezza delle sensazioni estreme, ribaltamento dell’essenza stessa del senso di esistere: non si nasce per vivere, si nasce per morire.
Sono tutti tentativi di interpretare una deriva autodistruttiva che sta prendendo piede, facilitata dagli scambi in rete delle esperienze, orientata all’annientamento del sé e dell’altro.
Forse siamo all’inizio di un “gioco nuovo” che sarà di breve durata, non serve drammatizzare o enfatizzare: chi non comprende il rischio cade facilmente nella trappola del “se ne parla, lo faccio anche io”. Però queste derive di azzardo impressionano e non poco.
La crisi esponenziale della famiglia e il venir meno dei doveri genitoriali di indirizzo, guida e controllo, il declino della figura paterna come riferimento normativo, stanno facilitando l’adultizzazione precoce, la messa in gioco della propria incolumità psico-fisica: la chiusura delle scuole nei periodi di lockdown ha creato le premesse per un vuoto formativo che- se ripetuto– può generare una deriva da ‘catastrofe educativa’: così mi ha detto lo psichiatra Paolo Crepet. Rischiamo il pericolo di una adolescenza abbandonata a se stessa e facile preda di influencer da strapazzo e imbonitori senza scrupoli, di far crescere una generazione culturalmente deprivata e orfana di valori.
Un tempo si postulava la generazione delle tre “i” ( inglese, informatica, impresa) ora si paventa il pericolo di una generazione delle tre “a”: adultizzata, anaffettiva, analfabeta. L’educazione civica serve ma 33 ore all’anno non bastano, ne servono dieci volte di più.
La cronaca ci ha dato recenti notizie di giovanissimi che si cimentano nel brivido del competere a chi sopravvive alla sfida con i treni: c’è stato chi è rimasto fulminato per un selfie sul tetto della locomotiva, chi si è steso sui binari, stretto stretto al centro di essi, il più appiattito possibile, per correre il calcolato rischio di vedere passare sopra di sé i vagoni e alzarsi poi indenne, chi si è cimentato nella gara da brivido di attraversare la ferrovia all’ultimo istante possibile, prima del passaggio di un treno lanciato ad altissima velocità. Una domanda su tutte: si deve discuterne di queste cose o non parlarne affatto per non innescare pericolosi effetti di circolazione e di curiosità morbosa?
Che cosa devono fare la famiglia e la scuola di fronte a pericoli e comportamenti sempre più parossistici e sofisticati nell’essere la rappresentazione immaginifica del male e il gusto del proibito?
Sono vent’anni almeno che la scuola organizza corsi e corsetti sull’educazione alimentare, la promozione degli stili di vita, la lotta al tabagismo e alle dipendenze, l’educazione stradale.
Se i risultati sono quelli che apprendiamo dai media e che rimbalzano sui social c’è da rimanere sconcertati.
A margine di quei “nuovi saperi” introdotti nelle scuole come prevenzione e antidoto a certe sconcertanti idiozie possiamo fare un bilancio: sono aumentati gli incidenti stradali (spesso mortali) per uso di alcol e di droghe, i ragazzi che fumano ogni tipo di porcheria o inghiottiscono pasticche micidiali sono sempre di più, come quelli che più innocentemente si alimentano con cibi spazzatura e bevono bibite gassate, quanto ai gesti di bullismo e alle azioni di stalking o di violenza il picco dei casi supera ogni previsione e diventa sempre più sadico e variegato il catalogo on line della bravate.
Credo che si debba dialogare con i ragazzi su queste cose, educare ad un uso misurato delle tecnologie, al rispetto delle regole, al valore della vita e della dignità umana.
Non possiamo assistere impassibili o indifferenti a queste derive negative, imprevedibili, spesso drammatiche senza provare la via del convincimento, della ragionevolezza e dei sentimenti.
Forse le generazioni più lontane dall’età adulta disprezzano i cattivi esempi di alcuni pessimi maestri. Forse la disperazione e il senso di vuoto della vita sono emozioni che si provano prima di quanto accadesse tempo fa. Si può parlare in senso deteriore di una sorta di esistenzialismo autodistruttivo precoce.
Forse alcuni ragazzi hanno compreso che ci sono giochi che comportano prove sempre più rischiose e fanno di questi – non degli affetti, non dell’amicizia, non della famiglia, non della scuola – il centro dei loro interessi, spavaldi al punto di ostentare tracotanza ed emulazione, competizione e rischio, con la certezza di uscirne vincenti. Il fatto è che dobbiamo far capire loro che questa concezione di sé e della vita stessa fa parte di una gigantesca, colossale simulazione truffaldina e ingannevole di cui sono vittime predestinate, tanto è profondo, imperscrutabile, indefinibile, inesplorabile il buco nero che li inghiotte ogni volta che con il proprio smartphone “varcano la soglia” di un ignoto senza meta e troppo spesso senza ritorno“.