In questi giorni in Italia è arrivato Will McCallum, responsabile per la tutela degli oceani di Greenpeace del Regno Unito, per presentare il suo libro “Vivere senza plastica”, edito da HarperCollins. I numeri, oltre al tema spinoso, sono spaventosi. Sono infatti 12,7 milioni le tonnellate di plastica che finiscono nell’oceano ogni anno, e sterminano più di un milione di uccelli e 100mila mammiferi marini. Il punto è che questo materiale inquinante entro il 2050 potrebbe invadere letteralmente, in termini di peso, le acque in cui la gente nuota e altri esseri vivono. Pertanto il libro vuole essere un manuale di riferimento per buone pratiche, allo scopo di non dipendere più dalla plastica, e non usarla.
Sul sito di Greenpeace McCallum si presenta, circa un anno fa: Ciao, sono Will, e ho dedicato gli ultimi tre anni della mia vita al movimento anti-plastica. In qualità di capo della campagna Oceani di Greenpeace UK, ho lavorato con governi e aziende per prevenire la crisi causata dalla plastica, oltre a fare ricerche su ciò che i consumatori possono fare nel quotidiano per ridurre l’inquinamento.Ho imparato molto, e ho messo tutto in un libro intitolato “Vivere senza plastica”, che è ricco di suggerimenti e trucchi per aiutare le persone a ridurre l’uso di plastica nelle case, comunità, e nei luoghi di lavoro. Sono appena tornato da una spedizione di un mese in Antartide, dove il nostro team di scienziati ha scoperto qualcosa di scioccante – i loro campioni di neve e acqua sono stati contaminati da rifiuti microplastici e sostanze chimiche pericolose -, dimostrando che l’inquinamento plastico sta raggiungendo la regione più remota sul Pianeta.
«Meno del 10% della plastica nel mondo viene riciclata. Uno dei motivi è che vengono utilizzati numerosi tipi di plastica diversi, spesso solo per cercare di differenziare i prodotti, ed essere originali nella propria offerta. Spesso non abbiamo gli strumenti per riciclare questi materiali complessi. Pensiamo al Tetrapak: di per sé non lo trovo un materiale più dannoso di altri, solo che non tutti i paesi sono dotati della tecnologia necessaria per smaltirlo. Il secondo fondamentale motivo per cui riusciamo a riciclare solo una piccola percentuale delle plastiche che utilizziamo è che ne consumiamo davvero troppa! Ci vorrebbero decine di anni solo per costruire sufficienti infrastrutture per smaltirla tutta», dichiara l’attivista.
Il primo passo dovrebbe essere quello di non continuare a utilizzare le bottiglie di plastica: «Ci sono moltissime soluzioni – spiega McCallum – per liberarsene facilmente, come borracce, bottiglie riutilizzabili. Smettere di usare bottiglie di plastica è una delle cose migliori che possiate fare per l’ambiente». Altro dato allarmante, in aggiunta ai danni ambientali provocati dalla plastica, riguarda le vaschette di polistirolo di cui si servono i supermercati per la carne: «Quelle di polistirolo nero sono un ottimo esempio per comprendere come non si pensi al ciclo di vita di un prodotto quando lo si progetta. Sono fatte con un particolare pigmento che impedisce ai macchinari utilizzati per il riciclaggio di afferrarlo, perché scivola via. È impossibile riciclarle solo per la scelta del pigmento che le colora», aggiunge il responsabile di Greenpeace.
Le richieste di McCallum rivolte al nuovo parlamento europeo e alla corrente dei verdi, sono di avere più infrastrutture per lo smaltimento, e di concentrarsi su nuovi materiali meglio smaltibili, anche se, a suo parere, la differenza sostanziale possono farla i consumatori. Il cambiamento concreto sta nel sensibilizzare le persone, portandole alla conoscenza e alla consapevolezza della realtà attuale, allo scopo di arrivare a ridurre, e quindi eliminare, il consumo di plastica.
Simona Cocola