Da più parti e, per la verità, anche nel Rapporto Bianchi, si fa riferimento all’opportunità di realizzare un nuovo sistema italiano di VET, espressione quest’ultima che può lasciare a bocca aperta, suscitare stupore, ma che, invece, una volta spiegata e capita, acquisisce un valore assai importante, alla luce anche delle problematiche create dalla sempre presente pandemia.
L’acronimo VET sta per Vocational Education Training, vale a dire, con una sostanziale anche se non letterale traduzione dei termini, “sistema di istruzione tecnica e professionale più europea, cioè più integrata ed inclusiva”.
Per cogliere gli aspetti della definizione si deve partire da un dato molto importante: oggi la realtà socio-economica – il mondo delle imprese quindi e il mercato del lavoro – richiede persone che abbiano anche una solida preparazione tecnologica, requisito questo che rappresenta una sostanziale novità rispetto al passato. Nei decenni precedenti, infatti, la preparazione tecnologica è stata una specifica competenza richiesta solo a chi doveva svolgere un compito pratico ed operativo in questo settore specifico e ben definito.
Chi sceglieva un percorso umanistico non era tenuto ad acquisire specifiche conoscenza nell’ambito tecnologico. Oggi, invece, anche chi sceglie, da un punto di vista professionale, ambiti più umanistici, deve avere queste conoscenze di base. Basta un esempio per cogliere puntualmente quanto appena sostenuto. Fino a qualche anno fa l’avvocato, per svolgere la sua professione, si serviva delle carte bollate, dei documenti sottoscritti a mano e della consegna, o meglio del deposito delle memorie o delle conclusionali, in cancelleria. Ora non è più così e la pandemia ha addirittura reso ordinaria la procedura basata sull’informatica. Tutto avviene online, senza necessità da parte dei soggetti interessati, attori e convenuti, legali, periti di muoversi dagli studi o dagli uffici.
Un esame attento del lavoro del legislatore in materia di istruzione e formazione permette di affermare che, nel periodo della storia costituzionale repubblicana, si sono registrati molti interventi normativi, anche se non sempre idonei a produrre risultati positivi.
Innanzitutto mi piace ricordare come punto di partenza la legge 845/78 che, introducendo la regolamentazione della formazione professionale, ha affermato la necessità di uno stretto collegamento tra il mondo dell’istruzione e quello della formazione. Fino a quel momento non solo i due sistemi si ignoravano, ma addirittura il sistema dell’istruzione considerava quello della formazione un sistema – per usare un’espressione mutuata dal mondo del calcio – di serie B.
Va detto per inciso che questa visione, dura a morire, anche per qualche decennio vicino a noi ha prodotto effetti deleteri. Quante volte nei libretti scolastici degli alunni del precitato periodo si leggevano espressioni di questo tenore, “Ragazzo poco attento, poco portato all’apprendimento […] si consiglia un corso di formazione professionale”. In parole povere, il corso di formazione professionale rappresentava lo sbocco scolastico dopo la scuola dell’obbligo per chi era dotato di pochi talenti.
Oggi questa impostazione è radicalmente superata, almeno da un punto di vista legislativo, perché tutti i provvedimenti dei primi due decenni del XXI secolo contengono delle norme per dare dignità alla formazione professionale, considerandola invece una leva efficace per garantire l’educazione completa della persona. Si deve, tra l’altro, aggiungere che la normativa del precitato periodo va nella direzione di favorire un dialogo istituzionale non sempre facile
La Costituzione Italiana afferma che tra le materie di esclusiva competenza delle Regione vi è la formazione professionale. Indubbiamente l’impostazione data dal legislatore costituente ha una sua logica, in quanto i percorsi di formazione dovevano, in quei tempi, rispondere alle esigenze del territorio e quindi le Regioni, organismi a stretto contatto con le aree di propria competenza, avrebbero avuto la possibilità essere di offrire risposte efficaci.
Oggi non è più così perché, di fatto, i progetti formativi devono essere in grado di dare risposte a livello europeo ed internazionale. Non a caso oggi si parla di VET, inteso come spazio formativo di più vasta portata. Va inoltre registrata a questo proposito qualche iniziativa per superare la separazione tra le competenze dello stato e quelle delle Regioni. Da qualche anno è in funzione un organismo, la Conferenza Stato-Regioni, con il compito preciso di facilitare il rapporto tra le due istituzioni e di conseguenza si può dire che qualcosa si muove nella giusta direzione.
Poiché, tenuto conto anche di quanto emerge da una serie di studi, compreso l’ultimo rapporto Symbola (2019), le imprese italiane presentano spiccate tendenze all’innovazione e si collocano per queste caratteristiche a livello europeo al secondo posto, dietro solo alla Germania, è indispensabile procedere al rafforzamento del sistema istruzione – formazione.
Si deve in altre parole operare per andare verso un nuovo VET, cioè verso un sistema educativo tecnico e professionale, senza dubbio, più europeo, pertanto più efficace anche a dialogare con altre realtà fuori dall’Italia. Si possono allora ipotizzare a questo punto alcune linee operative. In primo luogo è opportuno che venga completato e rafforzato il lavoro della Conferenza Stato – Regioni in materia di istruzione formazione.
Esistono infatti degli ambiti dove l’attività congiunta è particolarmente utile, per gli obiettivi, che si possono raggiungere. Penso ad esempio all’attività di orientamento che ancora oggi viaggia su binari paralleli: la scuola fa le sue azioni di orientamento, le strutture di formazione professionale seguono un loro percorso per indirizzare.
Penso inoltre ad iniziative congiunte di formazione per docenti e tutor. In secondo luogo potrebbe essere creata una rete nazionale delle “ scuole di lavoro”. In questa rete entrerebbero sia gli istituti professionali del ministero dell’istruzione sia i centri di formazione professionali delle regioni o da queste accreditati.
In terzo luogo sarebbe efficace estendere al sistema regionale della formazione i dispositivi e gli strumenti del Sistema Nazionale di Valutazione, quello già organizzato dal ministero dell’istruzione. In questo modo si possono realizzare verifiche congiunte mediante un sistema unico per i due settori.
Da ultimo, non certamente perché sia meno importante alla luce anche delle indicazioni delle esigenze delle imprese, si deve studiare una serie di iniziative per garantire l’aggiornamento e la riqualificazione degli adulti, al fine di garantire loro con gli idonei strumenti, i necessari mezzi per restare protagonisti attivi del mercato del lavoro.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative