Prima parte della considerazioni sul decreto firmato dal ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi dal titolo "Atto di indirizzo politico-istituzionale per l’anno 2022".
È ancora fresco di stampa un documento del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ma, per i suoi contenuti, è già preso in esame, studiato e giudicato. Si tratta di un suo decreto, con linee operative molto importanti, perché indicano le basi sulle quali verrà costruito nel 2022 l’operato del Ministro e saranno scritti i documenti degli Uffici del Ministero. Il provvedimento di cui sto parlando è l’ “Atto di indirizzo politico-istituzionale per l’anno 2022”.
È, tra l’altro, un testo agile – sono infatti solo dieci pagine, indice compreso – ma, nello stesso tempo, un testo chiave per capire come si muove il ministro e, di conseguenza, come dovranno agire le direzioni generali nell’adottare i loro provvedimenti. Mi sembra di poter affermare che in queste pagine si possa trovare in modo puntuale sintetizzato non solo il pensiero di Bianchi, ma anche la sintesi dei collegamenti sui quali si fonda e si sintonizza l’azione del ministero con l’azione del governo.
Sono otto punti che devono servire a creare la scuola del futuro, una scuola cioè che, come si vedrà, deve appoggiarsi su alcuni pilastri e, in modo particolare, si deve appoggiare sull’inclusività, su uno stretto rapporto con il mondo del lavoro – nel testo si parla di scuola 4.0 – su una didattica con nuove metodologie e su un costante aggiornamento dei docenti e di tutto il personale della scuola.
Procedendo ora però con ordine, in questo articolo farò una premessa introduttiva, per richiamare la filosofia sottesa al documento ed esaminerò il primo degli otto punti fondamentali, forse il più importante, rinviando al prossimo mio scritto i rimanenti.
Bianchi nell’introduzione fa una considerazione che merita di essere sottolineata: il suo testo programmatico ha una validità temporale ben precisa – dura infatti un anno, il 2022 – ed è una sintesi di quelle che il ministro individua come priorità, ossia come interventi che devono essere affrontati con urgenza.
Il ministro del resto ritiene che la scuola italiana sia in ritardo rispetto alle posizioni raggiunte dalle scuole europee. Nel fare questo però non addossa al precedente governo, e come potrebbe essere comprensibile al precedente ministro, la responsabilità di questa situazione. Il ritardo è piuttosto da addebitare a una visione forse troppo miope, di una politica portata avanti da tutti i governi che si sono succeduti nel periodo dopo seconda guerra mondiale.
A prova e a conferma di tutto questo – aggiungo io – si è impiegato quasi mezzo secolo per mandare in soffitta , e non del tutto, la riforma Gentile. Anche se non condanna, Bianchi però sottolinea che, di fronte a questo stato di cose, oggi è necessario correre per recuperare qualche fase del tempo perduto.
Un’ulteriore sottolineatura, che si ricava dalla lettura del testo, è meritevole di attenzione: mentre generalmente documenti di questo genere sono privi di indicazione delle risorse finanziarie, idonee a dare il dovuto supporto economico per farli decollare, in questo testo sono assai frequenti i richiami alle voci del bilancio dello stato, necessari alla loro realizzazione. Nello specifico, che appare in tutta la sua evidenza, “l’impegno del Ministero dell’Istruzione per dare piena ed efficace attuazione ai progetti di riforma ed investimento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”.
Fatta questa premessa, passo al primo degli otto quadri operativi.
Si tratta di un’affermazione che affonda le sue radici nel testo costituzionale, in particolare nell’art. 34. La garanzia allo studio si può rendere più concreta seguendo vie diverse, che riguardano due categorie in modo particolare di studentesse e studenti con caratteristiche ben definite.
Nella prima categoria devono essere inseriti coloro che sono tentati ad abbandonare gli studi, pur avendo diritto all’istruzione e alla formazione. Poiché in Italia è ancora consistente il fenomeno della dispersione scolastica, non solo è necessaria una puntuale conoscenza delle cause, ma diventa sempre più importante trovare percorsi idonei a ridurre fino ad eliminare l’abbandono della scuola.
Nella seconda categoria vanno inseriti tutti coloro che, pur avendone le capacità, non hanno i mezzi. Anche in questa ipotesi sono indispensabili i provvedimenti per fornire i mezzi del caso, come del resto prevede il dettato costituzionale.
Non è però quello della dispersione l’unico fenomeno negativo. Nel nostro sistema scolastico, che va opportunamente riorganizzato, meritevole di molta attenzione è il fenomeno dell’inclusione. Sia chiaro: non è che manchino le leggi per favorire l’inclusione. Sostanzialmente oggi manca una più approfondita cultura sull’argomento. In molti casi e, purtroppo ancora da un numero non indifferente di insegnanti, il diritto all’inclusione è interpretato come diritto ad ottenere, da parte della studentessa o lo studente interessato, una riduzione dei programmi. Questo rappresenta un modo errato di interpretazione delle leggi.
Garantire l’inclusione significa, anche per il ministro, costruire dei percorsi che possono portare ad un identico risultato finale per tutti i componenti dei una classe; ciò che cambia è il percorso da seguire, che deve essere tagliato su misura dell’allievo. Sotto questo punto di vista, a sostegno della tesi del ministro, credo che possa essere richiamato l’insegnamento di don Milani, che andava predicando l’inderogabile opportunità di costruire a misura dell’allievo la metodologia da usare nell’insegnamento.
Mi sembra utile richiamare subito un punto, che è presente nel documento del ministro Bianchi: se oggi c’è un errore nell’interpretare l’inclusione, che viene inserita quindi come riduzione dei programmi, la responsabilità di questo errore non è da attribuire completamente agli insegnanti. Dopo l’approvazione della legge sulla scuola inclusiva, è mancata una programmazione ad hoc per garantire ai docenti una seria formazione in questo ambito. Sono quindi le istituzioni scolastiche, ministero compreso, che non hanno mai dedicato con la dovuta attenzione un impegno per offrire momenti di formazione aggiornata ai docenti, che si sono dovuti adattare ad approfondimenti legati alla loro buona volontà.
Il discorso a questo punto sarebbe molto più vasto, ma ci porterebbe lontano. Mi viene solo da fare una considerazione: forse anche per le strutture ministeriali le conoscenze pedagogiche sono state di scarso rilievo.
Questo dubbio trova fondamento se, ad esempio, si guardano le griglie di valutazione dei concorsi per insegnanti e dirigenti. Guardando questi documenti si scoprirà la scarsa importanza che viene data nella valutazione alla parte pedagogica. Conoscendo il ministro sono convinto che le cose in futuro cambieranno. Del resto non si dimentichi che questo atto di indirizzo ha validità annuale e in questo atto ci sono le urgenze, anche se un cenno al problema appena citato è ben presente.
Per chiudere questo punto, riprendo una considerazione che avevo di sfuggita accennato in precedenza, quella della riorganizzazione del sistema. È questo un argomento non secondario perché, tra le altre questioni, rappresenta una richiesta dell’Unione Europea, al fine assicurare l’erogazione del finanziamento straordinario. Il ministro dà per certo, nel suo documento, che il suoi uffici tutti si pongono l’obiettivo di riformare l’attuale organizzazione del sistema scolastico concentrandosi sulla riduzione del numero degli alunni per classe e sul dimensionamento della rete scolastica.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative