Seconda parte dell’approfondimento intitolato “Scuola, il diritto all’istruzione: un po’ di storia“
Tutti gli storici sono concordi nell’affermare che il periodo giolittiano ha come carattere il rafforzamento del potere esecutivo, portando lo Stato ad occuparsi di un numero sempre maggiore di attività nel sociale. Questo ampliamento di funzioni sociali dello Stato riguarda ovviamente anche il settore dell’istruzione, creando nuovi contenuti sia nel diritto all’istruzione dell’individuo sia nei compiti dello Stato per garantire una risposta a queste nuove istanze.
È del resto questo un fatto facilmente spiegabile: l’Italia si sta trasformando, si passa da un’economia tipicamente agricola ad una economia industriale che richiede nuove competenze, nuova forma di lavoro, nuova organizzazione del territorio.
Un rapido esame dei provvedimenti legislativi da collegare al governo Giolitti permette di conoscere il peso delle decisioni che a questo governo si possono attribuire. Prima di tutto va citata la legge Orlando del 1904. Si tratta di un provvedimento articolato e complesso, che presenta due elementi importanti: l’obbligo scolastico che viene elevato a 12 anni e l’introduzione dell’assistenza scolastica affidandola ai Comuni.
Per quanto riguarda questa seconda iniziativa è da sottolineare che riscontra un positivo consenso da parte degli enti locali, perché i sindaci e gli amministratori locali vedono molto bene la possibilità, offerta dalla legge, di intervenire direttamente per rispondere alle esigenze delle famiglie meno abbienti delle loro comunità. La legge Orlando comprende poi altri interventi, tutti idonei a sottolineare l’ampliamento dei contenuti del diritto all’istruzione, ampliamento in ogni caso a totale carico dello Stato: istituzione di corsi serali per adulti, corsi popolari, corsi per analfabeti, senza per altro trascurare opere – anche queste idonee ad implementare il diritto all’istruzione – nel settore dell’edilizia scolastica.
Nel 1911 viene approvata una legge destinata ad entrare nella storia “sociale” della scuola italiana. Merita, tra le altre cose, di essere ricordata perché i motivi, che ora vedremo, rafforzano il diritto all’istruzione dei singoli ma, nello stesso tempo, evidenzia in modo molto forte il ruolo dello Stato per garantire il diritto all’istruzione.
Questa legge, la Daneo-Credaro, avoca allo Stato la competenza per quanto riguarda la gestione della scuola elementare, fino a quel momento lasciata ai Comuni che avevano pertanto l’onere di provvedere alla nomina degli insegnanti e avevano pure il compito di garantire la loro retribuzione. Nel testo legislativo si trovano anche alcune norme che riguardano il Patronato Scolastico.
Interessante è lo spirito di queste norme, perché il Patronato Scolastico non viene visto come un organismo con funzione assistenziale per i più bisognosi, ma viene visto come un’istituzione che ha come obiettivo principale quello di garantire la funzione educativa della scuola che rappresenta quindi il suo compito principale. Aiutare anche economicamente i più deboli diventa allora una logica e naturale conseguenza che rientra come compito conseguente del Patronato stesso.
Parlare dell’istruzione e del diritto all’istruzione durante il periodo fascista significa esaminare i contenuti – e soprattutto la filosofia che sta sotto – della riforma di Giovanni Gentile, riforma che ebbe la fortuna di sopravvivere molti decenni al suo padre ispiratore. Come infatti è noto l’impianto scolastico, introdotto dal ministro fascista, ha resistito ed ha continuato a produrre i suoi effetti nella vita scolastica del XX secolo, sia pure con una serie di variazioni e adattamenti realizzati dai governi repubblicani succedutisi dopo la caduta di Mussolini e del suo regime.
Per capire la linea politica nell’ambito del diritto all’istruzione è significativo ed importante tenere presente il pensiero di Giovanni Gentile in materia di scuola. Gentile ha una visione elitaria della scuola. Nella sostanza il filosofo vede due tipi di scuola: una è destinata a favorire la preparazione della classe dirigente e, di conseguenza, deve essere in grado di fornire una profonda formazione culturale, formazione che deve essere propedeutica alla frequenza con risultati positivi dell’università. In altre parole, si tratta di una scuola d’élite, altamente selettiva, riservata nella sostanza alla classe borghese, alla quale compete l’alto compito di dirigere la gestione delle varie attività dello Stato. Per questo motivo il ministro di Mussolini non condivide per nulla la visione giolittiana che vuole una scuola media unica, magari senza latino.
Accanto alla scuola per pochi ci deve, secondo Gentile, essere anche – ed è questo il secondo tipo di scuola – una scuola che garantisca il diritto allo studio, fornendo però agli interessati una serie di nozioni utili per il loro inserimento nel mondo del lavoro. In altre parole, viene caldeggiata l’istituzione di quelle strutture formative che possono servire all’avviamento professionale.
Questa visione politica della scuola di Giovanni Gentile, con la sua nomina a ministro, diventa la visione politica del fascismo e, di conseguenza, la linea che Mussolini segue nella sua azione di governo. Del resto, al Duce va bene che si possa creare una classe elitaria preparata, che dovrà essere collocata nelle posizioni chiave del potere. Gli effetti di questa politica non tardano a farsi sentire. In un tempo assai breve la spinta propulsiva a seguire corsi d’istruzione impegnativi , generatasi con la visione giolittiana, che vedeva garantita la crescita del Paese come conseguenza di un impegno di tutti, basato su una solida istruzione, viene a cadere con il conseguente calo della tendenza, da parte dei giovani, ad iscriversi ai licei e alle scuole superiori . I giovani avvertono infatti che pochi sono i predestinati a ricoprire i posti importanti della vita della nazione.
Questa impostazione gentiliana trova applicazione, anche in termini assai rigidi, nei primi anni del regime. Quando però la crisi economica incomincia a far sentire i suoi effetti, per rispondere a certe nuove esigenze dei giovani, si introducono alcune varianti – questo è chiamato dagli storici il periodo “dei ritocchi” – al fine di garantire, con corsi complementari, la possibilità per i giovani usciti dalle scuole di avviamento di accedere agli istituti tecnici. Cura questa ovviamente non sufficiente per garantire seri contenuti al diritto di istruzione.
(Continua)
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative