Mi sembra giusto in questo ultimo scorcio dell’anno fare qualche considerazione sul lavoro, anche perché questo tema riguarda, in modo tutto particolare, i giovani dell’ultimo anno dei corsi superiori, in uscita quindi dalla scuola. Del resto è un argomento questo, che ha avuto nei giorni passati ampio spazio nel dibattito che si è sviluppato durante il Salone JOB&ORIENTA di Verona, che ha visto impegnati sull’argomento esponenti politici del settore istruzione ed esponenti della società socio-economica, in modo particolare espressione del mondo imprenditoriale.
Tutti hanno sottolineato nei loro interventi la necessità inderogabile di perfezionare – perché ovviamente non si parte da zero – un progetto in grado di affrontare una situazione di difficoltà, quella della disoccupazione giovanile che, se anche da decenni sia pure con presupposti diversi attanaglia la nostra società, ora, in conseguenza della pandemie e delle problematiche derivate, produce effetti pure più devastanti.
A quelli, che hanno qualche anno sulle spalle, non sfugge infatti che il problema dell’occupazione, in particolare quella giovanile, viene da lontano. Con una curiosità lessicale, se si vuole. Pur essendo le cause e i tempi diversi, sono sempre state usate le stesse terminologie: lotta contro l’inflazione, rifinanziamento del meccanismo economico, determinazione della ripresa, facilitazione degli investimenti. Tutte queste espressioni, che hanno anche farcito i discorsi programmatici dei governi della Repubblica di tutte le formule e di tutti i colori, avrebbero dovuto garantire il lavoro e la piena occupazione, ma purtroppo così non è stato.
Si rende allora opportuno qualche richiamo ai cambiamenti sociali nei processi di lavoro, che si sono verificati al fine poi di fare qualche ipotesi per quanto riguarda il contributo che, in base ai suoi compiti, può dare la scuola. Nella società attuale sono cambiate le coordinate per quanto riguarda l’attività produttiva.
È cambiato il luogo del lavoro, perché alla catena di montaggio si è sostituito spesso il lavoro a distanza. È mutato il tempo del lavoro, in quanto molte volte gli orari di lavoro non sono concentrati nella stessa giornata e si va verso una sempre maggiore flessibilità come conseguenza anche della disintegrazione del luogo di lavoro, non essendo più, tra le tante sottolineature da fare, la grande fabbrica il modello dell’attività produttiva. È anche stata ristrutturata da un punto di vista non solo contenutistico, ma anche temporale la formazione professionale.
Nel secolo scorso il tempo della formazione professionale poteva essere collocata in un momento preciso della vita di una persona: dopo il periodo dell’istruzione veniva il periodo della formazione, denominata anche “formazione di base”, utile a dare un “mestiere”. Oggi non è più così. Dopo il periodo della formazione di base, deve essere, durante tutto l’arco della vita lavorativa, garantito uno spazio per l’aggiornamento sulle nuove tecnologie e sulle nuove procedure aziendali. A ben guardare la formazione diventa un vero investimento e non rappresenta più nel bilancio delle imprese una passività, come invece ancora si registra nella mentalità comune.
Viene a questo punto spontanea una riflessione, che possiamo chiamare sociologica: la differenza tra posto di lavoro e lavoro. Le due espressioni non sono da considerare sinonimi: il posto è quello in cui una persona si sistema per stare tranquillo, il lavoro invece implica elementi di dinamicità, perché non rappresenta solo una funzione produttiva, ma è anche il modo con il quale la persona si è realizzata e continua a realizzarsi. Statico è il contenuto del primo termine, dinamico quello del secondo. La realtà attuale ci impone di superare la prima visione, perché i continui cambiamenti socio-economici e produttivi richiedono un continuo adeguarsi del lavoratore alle novità del sistema produttivo.
Alla luce delle considerazioni fatte viene spontanea una domanda: quale collaborazione può dare la scuola per avere un ruolo attivo nella soluzioni di problemi così urgenti ed importanti? Si possono individuare almeno tre contributi nell’ambito dell’educazione e dell’istruzione scolastica, contributi comunque di carattere trasversale.
Innanzi tutto la scuola deve formare i giovani al lavoro e non solo per il posto di lavoro. Il giovane deve avere cognizione che è cambiato il mondo del lavoro, nel quale si dovrà inserire dopo il periodo scolastico: si tratta di una realtà in continua trasformazione. Entrare in questa realtà non significa più occupare un posto da conservare per tutta la vita lavorativa.
In secondo luogo la scuola ha il compito di far capire al giovane che non vi è più separazione tra il tempo dell’istruzione ed il tempo dell’attività lavorativa. La continua evoluzione dei processi produttivi impone un continuo aggiornamento degli operatori, di conseguenza anche durante il periodo di lavoro è necessario un continuo aggiornamento nell’ambito della formazione e dell’addestramento. Non a caso si parla di formazione continua.
In terzo luogo è opportuno che la scuola contribuisca con gli approfondimenti del caso a dare una visione nuova della cultura del lavoro, magari rimarcando, anche durante le ore di educazione civica, che nella Costituzione italiana, è sancito il diritto al lavoro piuttosto che il diritto al posto di lavoro.
Questa impostazione offre certamente un contributo a costruire quella flessibilità mentale per affrontare le tematiche dell’occupazione.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative