La sindrome da deficienza di CDKL5 (CDD) è una grave encefalopatia genetica che colpisce i bambini subito dopo la nascita. I bambini affetti non possono comunicare con il linguaggio, raramente sono in grado di camminare, e presentano crisi epilettiche e disturbi cognitivi e motori fortemente invalidanti. Circa 13.000 famiglie nel mondo sono interessate da questa malattie e ogni anno si registrano circa 750 nuovi casi. La CDD è priva di una cura risolutiva, sebbene vi siano studi mirati a sviluppare nuove terapie.
Finora si riteneva che i sintomi della CDD fossero dovuti ad un’alterata azione della proteina CDKL5 nel cervello, tuttavia un nuovo studio pubblicato su Science Translational Medicine e frutto di una collaborazione internazionale – tra i laboratori di Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) di Pisa, Università di Firenze, Centro Francis Crick, Imperial College e King’s College di Londra, Università di Cardiff e di Western Australia di Perth, Istituto di scienza e tecnologia di Barcellona, Wisconsin Medical college di Milwaukee – ha scoperto che le cellule che fungono da sensore per il dolore sono anch’esse fortemente alterate dalla mutazione di CDKL5, determinandone quindi un’alterata percezione.
“Queste cellule sono localizzate fuori dal sistema nervoso centrale e rilevano il dolore tramite delle terminazioni nervose poste in tutto il corpo”, spiega Tommaso Pizzorusso, ricercatore del Cnr-In e ordinario Psicobiologia e psicologia fisiologica dell’Università di Firenze. “La scoperta dimostra quindi per la prima volta che le terapie per la CDD non devono essere esclusivamente mirate al cervello. Inoltre, la nuova scoperta che la percezione al dolore è alterata nei pazienti e nei modelli animali con CDD, suggerisce che tale aspetto debba essere valutato in questi bambini. Infatti, alterazioni della percezione del dolore non curate possono determinare alterazioni cognitive e neuroendocrine, oltre a essere invalidanti di per sé”.