Il 6 febbraio, la chiesa cattolica venera San Paolo Miki. Fu il primo giapponese accolto in un Ordine religioso cattolico, la Società di Gesù. Questo lo portò ad essere il primo gesuita nipponico. Di famiglia benestante, seguì gli studi in un collegio della Compagnia di Gesù, e a 22 anni diventò novizio.
Specializzatosi nella religiosità orientale, venne destinato alla predicazione, tramite la quale ottiene diverse conversioni. Il cristianesimo si espanse in Giappone nel 1549 con Francesco Saverio, che aprì la via ad altri missionari ben accolti dalla gente e tollerati dallo Stato, in cui gli imperatori sopravvivono come simboli, mentre il potere politico è dello Shogun. Paolo Miki fu molto attivo e fece crescere la comunità cristiana che annoverava decine di migliaia di fedeli. Nel 1582-84 la prima delegazione giapponese, fu accolta da papa Gregorio XIII.
D’improvviso lo Shogun Hideyoshi capovolse l’atteggiamento verso i cristiani, facendosi persecutore per un complesso di motivi. Nel 1587 promulgò addirittura un editto di espulsione di tutti i predicatori cristiani e cosi i sacerdoti furono costretti a celebrare in semi clandestinità. Poi il dittatore ordinò l’arresto dei missionari e dei loro collaboratori nelle città di Kyoto, Osaka e Nagasaki. A quel punto Paolo Miki divenne un punto di riferimento per chi professava la fede. Fu arrestato e portato in carcere dove trovò missionari, catechisti laici, e persino chierichetti giovanissimi. Insieme a tutti loro venne crocifisso su un’altura presso Nagasaki.
Prima di morire pronunciò l’ultima predica, invitando tutti a seguire la fede in Cristo, e concesse il suo perdono ai carnefici. Nel 1862, papa Pio IX lo proclamò santo. Due anni dopo, a Verona, un seminarista quindicenne lesse il racconto del suo supplizio e ricevette una forte spinta a dedicarsi alla vita missionaria: era Daniele Comboni, futuro apostolo della “Nigrizia”, alla quale dedicherà vita e morte, tre secoli dopo il martire giapponese.
Alessio Yandusheff Rumiantseff