Di recente il ministro della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone ha lanciato l’ipotesi Quota 101 quale possibile evoluzione di Quota 100 dopo che tale misura sarà scaduta il 31 dicembre 2021. Quota 101 servirebbe a evitare lo scalone dei 5 anni che si avrebbe al termine di Quota 100. Il Ministro Dadone però non specifica se, rispetto alla Quota 100, sarà l’età anagrafica o l’anzianità contributiva ad essere aumentata per avere Quota 101.
Poiché tutte le ipotesi di uscita anticipata proposte (come del resto anche Quota 100) insistono sul vincolo di età, è facile pensare che anche per Quota 101 venga richiesta un’età anagrafica minima di 63 anni e un’anzianità contributiva di 38 anni.
Il motivo per cui al centro di tutte le ipotesi di uscita anticipata compare l’età anagrafica dipende dal fatto che questo è un parametro critico per la sostenibilità del sistema previdenziale obbligatorio.
Infatti, il nostro sistema previdenziale obbligatorio viene finanziato in prima istanza attraverso i contributi versati dai lavoratori attivi; nel caso in cui i contributi dovessero risultare insufficienti a coprire le erogazioni pensionistiche, il finanziamento può essere integrato in seconda istanza attingendo alla fiscalità generale (imposte Irpef e Iva). Se escludiamo il ricorso al finanziamento tramite Irpef e Iva, allora il sistema previdenziale deve reggersi sui contributi versati dai lavoratori attivi.
I lavoratori attivi, secondo le proiezioni demografiche, sono in progressiva diminuzione perché in Italia si registra un basso tasso di natalità (poche nascite). Al tempo stesso le proiezioni demografiche indicano un aumento della popolazione con più di 65 anni di età.
Questo significa che ci sono sempre meno contributi per poter finanziare un numero crescente di pensioni, e questo spiega perché si tende a spostare sempre più in alto l’asticella dell’età per andare in pensione: si tende ad avere un lavoratore in più per pagare una pensione in meno, e si tende a pagare con i contributi versati da quel lavoratore in più la pensione in più di chi ha maturato la pensione di vecchiaia.
Il compito che governo e sindacati dovranno affrontare sarà quello di conciliare la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale (il flusso contributi-pensioni) con il principio di equità da applicare a una platea di lavoratori necessariamente ristretta. È un compito in cui prevarrà la sostenibilità finanziaria. Quota 101, nel fissare l’età anagrafica a 63 anni, si inserirebbe in questa scia.
Nelle elaborazioni delle varie ipotesi di uscita anticipata non si tiene in debita considerazione il lavoro, la popolazione dei lavoratori attivi. L’attenzione sembra essere posta quasi esclusivamente sul lato demografico: invecchiamento della popolazione e calo delle nascite.
Eppure, se non possiamo intervenire sull’invecchiamento della popolazione, un modo per invertire la tendenza del calo delle nascite ci sarebbe, e consiste nel dare ai giovani la possibilità di avere un lavoro, adeguatamente retribuito, non precario, con uno Stato sociale che provveda ad alimentare una rete di maggior sostegno agli anziani (sgravando così le donne dal lavoro di cura) e di maggior sostegno all’infanzia (con asili nido e istituti specializzati).
Ma per poter fornire un lavoro ai giovani è necessario, nell’attuale fase di stagnazione economica, che alcuni posti di lavoro si liberino. Tuttavia, stando a un’indagine svolta da Manpower Group Italia, i posti di lavoro ci sono ma non si trovano i lavoratori (elettricisti, saldatori, meccanici, ingegneri chimici, ingegneri elettrici, ingegneri civili, personale medico, finanziario, informatico). E allora, stando così le cose, sarebbe inutile liberare posti di lavoro dal momento che non si troverebbero giovani in grado di occuparli.
Forse è il caso di affrontare in maniera congiunta riforma delle pensioni e riforma del lavoro. Quota 101 può evitare lo scalone dei 5 anni, ma non scioglie il nodo pensioni. Quel nodo che unisce in maniera così stretta pensioni e lavoro.
Claudio Maria Perfetto