Le riforme nascono dall’esigenza di adeguare le leggi alle mutate condizioni della società. La riforma del lavoro Fornero è nata nel 2012 dalla necessità di dover far fronte al fatto che l’ingresso al lavoro avviene a un’età maggiore e che l’aspettativa di vita si è allungata. Per mantenere la sostenibilità del sistema previdenziale (cioè per poter continuare a pagare le pensioni), il requisito di accesso alla pensione è stato fissato a 67 anni di età. La legge Fornero ha carattere strutturale, permanente.
La Quota 100, introdotta per il triennio 2019-2021, è nata dalla necessità di favorire il ricambio generazionale, consentendo ai lavoratori di potere accedere alla pensione all’età di 62 anni anziché a 67 anni come stabilito dalla legge Fornero. La Quota 100 è temporanea, resterà in vigore fino alla fine del 2021.
La riforma pensionistica oggi in esame nasce dalla necessità di evitare il cosiddetto “scalone” di 5 anni che si verrà a determinare allo scadere di Quota 100. Da gennaio 2022, infatti, i lavoratori non potranno più accedere alla pensione a 62 anni di età ma a 67 anni con la legge Fornero. La necessità che induce a cambiare la legge Fornero risiede nel rendere la “flessibilità” (introdotta da Quota 100) “strutturale” (in accordo con il principio di sostenibilità del sistema previdenziale su cui si basa la legge Fornero).
La formula più logica che il Governo potrebbe adottare per rendere la nuova riforma pensioni “strutturalmente flessibile” (della durata di almeno 10 anni) è quella che realizza il compromesso tra la Quota 100 e la legge Fornero: uscita a un’età intermedia tra i 62 e i 67 anni, e calcolo della pensione con il sistema interamente contributivo (in pratica, più pensioni ma meno elevate). Sarà difficile introdurre dei miglioramenti in ambito pensionistico dal momento che già ai tempi della legge Fornero la situazione finanziaria italiana era particolarmente critica con il debito pubblico a 1851 miliardi di euro, mentre in novembre del 2019 il debito pubblico è salito a 2445 miliardi di euro (+32%).
Una tale soluzione pensionistica, un po’ Fornero e un po’ Quota 100, verrebbe percepita penalizzante dai lavoratori che, pertanto, non vi aderirebbero (a meno di non esservi proprio costretti). I consumi, già stagnanti, verrebbero ulteriormente depressi. Infatti, i lavoratori, aspettandosi di ricevere una pensione più bassa, tenderanno ad accumulare i risparmi e quindi a consumare di meno. Le imprese produrranno di meno con ritorni negativi sull’occupazione.
La futura riforma pensionistica dovrà certamente tenere conto dei vincoli di spesa, ma non potrà ignorare le ricadute negative che avrebbe sull’occupazione qualora disincentivasse i lavoratori ad aderirvi: trovandosi l’economia in una fase stagnante, se non ci sarà un allargamento della platea di lavoratori che potrebbero andare in pensione senza penalizzazioni, non ci sarà la possibilità di occupare nuovi lavoratori.
Occorre un’inversione di rotta di 180 gradi, pensare in maniera opposta a come si è pensato fino ad oggi, sviluppare una nuova visione della riforma del lavoro. Occorre rendere più flessibili i requisiti di accesso alla Quota 100, consentire a una platea più ampia di lavoratori di andare in pensione, lasciare che l’Iva aumenti nel 2021 (ciò non penalizzerebbe i consumi) in modo da utilizzare i 20 miliardi di euro, che sarebbero serviti per sterilizzare le clausole di salvaguardia Iva, per finanziare il maggior numero di pensioni, favorendo in tal modo l’occupazione e facilitando il ricambio generazionale.
Questo tipo di intervento non sarebbe una riforma strutturale delle pensioni, ma ancora un’opzione Quota 100, con requisiti meno stringenti rispetto a quelli di oggi e valida per il 2021. Per il 2022, invece, si dovrà pensare a una riforma pensionistica strutturale che attinga a risorse oggi sottratte all’erario dall’evasione fiscale. La strategia per farla risiede nel rendere impossibile potere evadere. Il mezzo per farlo consiste nel tracciare tutte le operazioni finanziarie a livello centrale e nell’utilizzare come mezzo di pagamento la moneta digitale di Stato (gestita dallo Stato) circolante parallelamente all’euro (gestito dalle banche).
Claudio Maria Perfetto