È ormai dimostrato come un animale da affezione e la pet therapy siano di grande aiuto e portino effetti positivi sul piano psicologico, sociologico e fisiologico di ciascun individuo. Sono infatti numerosi gli studi che hanno affermato come il possedere un animale da compagnia abbia effetti benefici e siano, tra le altre cose, di aiuto per una maggior ripresa e recupero in seguito ad una malattia, ma anche di miglioramento della salute in generale. In particolar modo, se si tratta della compagnia di un cane. E quando questo cane diventa il “pilota” della nostra vita? È questo il caso del cane guida.
I cani guida sono cani da assistenza, addestrati per aiutare ed accompagnare nella loro quotidianità le persone ipovedenti ed affette da cecità.
Secondo una ricerca online, la prima scuola di addestramento per cani guida fu fondata in Germania nel corso della Prima Guerra Mondiale, era un modo per aumentare la capacità di spostamento dei veterani di guerra diventati ciechi durante i combattimenti. Ma, al di fuori della Germania, questo non era argomento di particolare interesse. Finché un giorno, nel 1929, l’allevatrice e filantropa americana Dorothy Harrison Eustis – residente in Svizzera – fondò negli Stati Uniti “The Seeing Eye”, (L’occhio che vede, trad.) la prima scuola guida per cani per non vedenti. Tale centro fu fondato assieme a Morris Frank, un residente di Nashville (Tennessee), da cui partì effettivamente la diffusione del cane guida. Lo stesso Frank era cieco e fece una sessione di addestramento con uno dei cani della Eustis; si trattava di un pastore tedesco femmina di nome Buddy. Da quel momento, Frank e Buddy intrapresero un tour pubblicitario per convincere gli Americani delle abilità di questi cani guida e la necessità di permettere alle persone con uno di questi cani di accedere praticamente ovunque (hotel, mezzi di trasporto pubblici, ecc).
I cani guida conferiscono ad una persona non vedente una maggiore fiducia e sicurezza, inoltre danno anche un senso di amicizia e di conforto. Questi cani, non solo aiutano a ridurre ansia, depressione e solitudine, ma offrono un valido supporto al padrone, in quanto rendono più facile lo spostamento. In questo caso il cane viene solitamente addestrato a riconoscere gli ostacoli e a reagire di conseguenza, ad andare dritto o svoltare a destra e a sinistra, a riconoscere passaggi pedonali, scale, porte e mezzi pubblici. Un modo per aiutare la persona a provare un senso di indipendenza.
Vi è da sapere che non vi sono cani guida solo per ciechi e ipovedenti, ma anche per chi è affetto da epilessia. La differenza è che la persona che soffre di attacchi epilettici non ha bisogno di un cane che lo guidi nei percorsi, ma di un animale che colga i segnali premonitori di un attacco e lo avverta in modo da evitare o ridurre le situazioni di rischio.
Ad oggi tra le razze maggiormente scelte come cani guida per ciechi e ipovedenti sembrano essere il Pastore tedesco, il Golden Retriever ed il Labrador. Ma vi sono anche altre razze che sono state selezionate (Border Collie, Dobermann, Cane da Pastore Scozzese, ecc). Mentre per epilettici di solito si tratta di un Labrador o di un Golden Retriever.
Sebbene vi siano regolamenti e normative che negano l’accesso di animali in alcuni spazi pubblici, come ad esempio i ristoranti ed i mezzi di trasporto, in molti paesi i cani guida e da assistenza sono esenti da tali norme e possono accedere ovunque per accompagnare i loro padroni/addestratori. Queste normative variano a seconda delle diverse aree del mondo, nel nostro Paese, ad esempio, vige la Legge n. 37 del 14 febbraio 1974, la quale obbliga i mezzi di trasporto ed i luoghi pubblici ad accogliere le persone dotate di cane guida.
Si tratta quindi di cani qualunque, solo istruiti in modo specializzato affinché possano andare incontro al meglio a quelle che sono le necessità dei loro padroni. Sono animali speciali e grazie alla loro dedizione molte persone possono aspirare ad una vita normale. Tuttavia è molto importante ricordare che si tratta di cani guida, quindi sarebbe bene non distrarli e lasciare che facciano il loro “lavoro”.
Valeria Glaray