La legale dello studente egiziano ha chiesto il rinvio per studiare gli atti in maniera più accurata
È stata un’udienza lampo quella che si è svolta questa mattina presso il tribunale di Mansura e che vede imputato Patrick Zaki, detenuto in Egitto dal 7 febbraio 2020 con l’accusa di “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese“. Un reato che potrebbe costargli fino a cinque anni di carcere. Domani saranno esattamente 600 i giorni passati dietro le sbarre dallo studente egiziano dell’università di Bologna.
La seconda udienza è durata appena due minuti durante i quali, come hanno riferito fonti del collegio di difesa, la sua legale Hoda Nasrallah ha chiesto un rinvio per poter studiare gli atti. La legale ha chiesto inoltre una copia autenticata del fascicolo visto che finora ha potuto consultarli solo presso gli uffici giudiziari, senza dunque poterlo studiare adeguatamente. Il giudice monocratico si è ritirato per decidere sulla richiesta, hanno precisato le fonti sintetizzando quanto detto da Nasrallah a ridosso del banco del giudice.
Per giustificare la richiesta di rinvio, l’avvocato ha sostenuto che è stato lo stesso Zaki a chiederlo in quanto “non è soddisfatto” della difesa dato che lei ha potuto leggere gli atti in Procura solo “in fretta”, ha riferito un avvocato presente in aula che ha preferito restare anonimo.
Poco prima dell’inizio dell’udienza Patrick è stato portato in manette nella gabbia degli imputati. Il 30enne era vestito interamente di bianco, il colore utilizzato dagli imputati nei processi egiziani, e portava occhiali da vista, barba e codino. Durante l’udienza non ha preso la parola.
Lo studente egiziano ha avuto modo di scambiare qualche parola con due avvocati e ha bevuto un po’ d’acqua. Ai pochi giornalisti ammessi non è stato concesso di parlare con l’imputato, inolre agli stessi è stato vietato di scatattare foto o girare video. In aula erano presenti anche il padre e sorella, oltre a un piccolo gruppo di attivisti e amici.
Una legale del ricercatore egiziano ha confermato che non sono decadute le accuse più gravi per i quali rischierebbe fino a 25 anni di carcere. Sul suo capo pendono i seguenti capi d’imputazione: ha compromesso la sicurezza nazionale e istigato alla protesta, al rovesciamento del regime, all’uso della violenza e al crimine terroristico. Fonti giudiziarie egiziane fanno trapelare inoltre che la pena potrebbe essere ben più grave: si parla addirittura dell’ergastolo.
Come sempre avvenuto nelle udienze per il rinnovo della custodia cautelare, è prevedibile anche per oggi la presenza presso il Tribunale di un diplomatico italiano nell’ambito di un monitoraggio processuale Ue che coinvolge paesi extra-europei come il Canada.