Era il 1981 quando la Banca d’Italia si separò dal Tesoro. Da quel momento la Banca d’Italia non fu più obbligata a comprare titoli di debito pubblico, e lo Stato italiano fu costretto a finanziare il proprio indebitamento con emissione di titoli a tassi di mercato. Conseguenze: il debito pubblico si impennò e il rapporto tra debito/Pil esplose dal 50% (del 1981) al 120% (nel 1992).
Nel 1992 lo Sme (il Sistema monetario europeo nato nel 1979 con l’obiettivo di stabilizzare i tassi di cambio tra le valute europee il cui valore poteva oscillare entro una banda molto ristretta) venne sottoposto a tensioni fortissime, costringendo la lira italiana a svalutare e quindi ad uscire temporaneamente dallo Sme. Nel 1992 il Governo Amato prese una decisione senza precedenti: nella notte del 10 luglio fu effettuato il prelievo forzoso del 6‰ (sei per mille) dai conti correnti delle banche italiane, per finanziare una manovra da 90mila miliardi di lire. Il 13 agosto 1992 l’Agenzia di rating Moody’s declassò i titoli di Stato italiani, il 13 settembre la lira venne svalutata, il 17 settembre 1992 la lira uscì dallo Sme (per poi rientrarvi nel 1996).
Oggi l’Italia deve affrontare gli stessi problemi che aveva nel 1992: un debito pubblico in forte ascesa (dal 135% al 155% del Pil); Agenzie di rating in procinto di declassare i titoli di Stato italiani; finanziamento del proprio indebitamento con emissione di titoli a tassi di mercato elevati (in caso di declassamento).
I vincoli esistenti oggi tra l’Italia e l’Europa sono però differenti da quelli del 1992: allora, l’Italia aveva la possibilità di uscire dallo Sme; oggi, l’Italia non può uscire dall’euro (“they keep on asking questions like ‘if a country leaves the euro area tomorrow’. There is no plan B”. – Mario Draghi, 4 aprile 2013).
Seguendo la logica dei fatti, se nel 1992 l’Italia prese la decisione di ricorrere al prelievo forzoso per portare ordine nelle finanze pubbliche quando il debito pubblico aveva raggiunto il 120% del Pil, a maggior ragione oggi, con il debito pubblico in salita al 155% del Pil, l’Italia potrebbe prendere la stessa decisione del 1992.
Se ciò accadesse si andrebbe incontro ad una contraddizione: come conciliare l’erogazione di bonus alle famiglie da parte dello Stato con il prelevamento forzoso di soldi dai loro conti correnti? La contraddizione, però, si dissolverebbe se si considerassero i bonus non come sussidi (e quindi gratuiti) ma come prestiti (e quindi da restituire): in tal caso lo Stato preleverebbe in modo forzoso dai conti correnti delle famiglie quanto avrebbe dato loro in forma di prestiti, e questo allo scopo di forzare l’immissione in circolo dei risparmi delle famiglie (stimati attorno ai 1.400 miliardi di euro) giacenti inattivi nei depositi bancari.
Tuttavia non sarà necessario ricorrere a tale stratagemma per mettere in circolo i risparmi delle famiglie, poiché le famiglie attingeranno ai loro risparmi spontaneamente per far fronte alle difficoltà economiche attuali e future: in mancanza di reddito utilizzeranno proprio i loro risparmi per pagare le bollette e gli affitti, per sostenere se stesse e le famiglie (forse ancora più deboli) dei propri figli e dei propri nipoti.
Inoltre, occorre considerare che la riduzione dei risparmi drena il sistema economico non solo in termini finanziari ma anche, e soprattutto, in termini reali, e cioè in termini di consumi e di produzione di beni e servizi e quindi in termini di occupazione. Infatti, quando i risparmi si riducono, le famiglie reagiscono aumentando la loro propensione al risparmio (e quindi, specularmente, diminuendo la loro propensione al consumo) per cercare di accumulare nuovi risparmi.
L’alternativa al prelievo forzoso o alla patrimoniale (tassa sulla casa, o su azioni e obbligazioni) potrebbe essere una “patrimoniale” sui beni immobili dello Stato (spiagge, caserme, palazzi, musei, monumenti).
La patrimoniale sui beni immobili dello Stato consisterebbe nel “liquidarli”, intendendo con ciò non già il venderli ai privati, ma nel renderli appunto “liquidi” sotto forma di moneta digitale di Stato gestita dallo Stato. In tal modo lo Stato italiano dipenderà meno dai prestiti europei (Bce, Mes, Recovery fund, Bei, mercato), dipenderà meno dalle Agenzie di rating (“Bisogna fare a meno delle agenzie di rating: sono altamente carenti e discreditate”, Draghi, agosto 2012), eviterà che il debito pubblico salga al 155% del Pil.
Claudio Maria Perfetto