Le frittole sono un piatto tipico della gastronomia calabrese. L’usanza vuole che il maiale si macelli solo nel periodo compreso fra la festa dedicata della patrona di Reggio Calabria e il martedì grasso. Pare che la “tradizione delle frittole” abbia inizio verso l’anno 1000. In quel tempo sono diffuse le incursioni islamiche e le popolazioni calabresi abbandonano le coste per cercare rifugio in montagna. Da qui ha inizio anche la conservazione della carne del maiale attraverso la cottura nello strutto.
Le frittole sono le parti meno nobile del maiale: lardo, cotenne, stinchi, collo, guancia e anche cartilagini. Si ottengono riscaldando proprio queste parti in un pentolone detto “caddara” che viene foderato al suo interno dalla cotenna, facendo attenzione a che il grasso sia rivolto verso l’interno. Il procedimento di cottura è molto lento e laborioso ed è svolto dal “frittularu”. La cottura dura circa otto ore ed è alimentata con brace di carbone. Questa particolare preparazione rende la carne morbida e gustosa. Una volta che è terminata la cottura, viene aggiunto sale e, al momento di servire, anche del pepe.
Tutto quello che rimane sul fondo della “caddara”, rimasugli di carne e strutto, viene trasferito in altri contenitori e si fa raffreddare. Ciò che si ottiene prende il nome di “curcuci”. Oltre a poter essere conservati per lungo tempo, i “curcuci” si possono consumare in diversi modi: caldi con il pane fatto in casa, accompagnati alle uova fritte, oppure per realizzare un primo piatto come i “Vermicelli ai curcuci”.
Le frittole sono inserite nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf) come prodotto tipico calabrese.