Nei giorni scorsi Mario Draghi al suo primo vertice europeo, in videoconferenza, in veste di premier, ha chiesto alla Von der Leyen spiegazioni sui ritardi delle consegne, esattamente come gli altri leader europei alle prese con scarse dosi di vaccino, facendo notare come per sconfiggere il virus si debba necessariamente accelerare la produzione. Per poi insistere su un punto “Le aziende che non rispettano gli impegni presi non dovrebbero essere scusate“. Poi invitando ad un cambio di passo avrebbe ribadito con convinzione “occorre andare più veloce guardando anche alla produzione extra Ue”.
Sulla questione della presa di posizione di Draghi ci siamo confrontati con il sempre disponibile Prof Cazzola, al quale é venuto anche un dubbio circa le reali ragioni, che forse, starebbero portando, ovviamente in sordina, le Big Pharma a rallentare la produzione e la consegna dei vaccini. Interessante il suo punto di vista e soprattutto l’interrogativo che si pone al termine dell’elaborato, che qui vi riportiamo e vi invitiamo a leggere con l’attenzione che merita.
Il Prof Cazzola, lo ricordiamo é Giuslavorista. Ha ricoperto importanti incarichi sindacali nella Cgil e ricoperto ruoli di vertice al ministero del Lavoro e quale presidente dei collegi dei sindaci di Inps e Inpdap. Negli anni ’90 ha lasciato il sindacato per passare alla politica. Eletto deputato nella XVI Legislatura è stato vice presidente della Commissione Lavoro e relatore di importanti provvedimenti legislativi. Ha insegnato diritto del Lavoro all’Università di Bologna e di Uni eCampus. Vi lasciamo ora alle sue parole:
‘’Ha chiesto un cambio di passo nella gestione della pandemia il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che ha fatto il suo debutto al Consiglio europeo. Il premier vuole una accelerazione sui vaccini. Collegato da Palazzo Chigi, Draghi ha sottolineato che per “rallentare” la corsa delle mutazioni del virus occorre “aumentare le vaccinazioni” con una azione “coordinata” a livello europeo, “rapida e trasparente”.
Così i media hanno celebrato ‘’il giorno dei Santi Crispino e Crispiniano’’ di Mario Draghi, che ha redarguito la Commissione europea col fare di un maestro nei confronti dei discepoli che non sono stati in grado di pronunciare il loro ’’whatever it takes’’ a proposito del vaccino e della vaccinazione.
Draghi – raccontano – ha chiesto anche grande determinazione nei confronti delle aziende farmaceutiche, auspicando la linea dura: quelle che non rispettano gli impegni assunti, ha detto, non dovrebbero essere “scusate”. Nel suo intervento, Draghi ha inoltre sollecitato un “approccio comune” sui test e un “coordinamento” per l’autorizzazione all’export. E ha anche aperto alla possibilità di dare “priorità” alle prime dosi, anche alla luce della recente letteratura scientifica. A suo modo il premier ha dato una dimostrazione di come si difendono gli interessi nazionali.
I sovranisti, prima di essere convertiti, avrebbero convocato delle conferenze stampa per criticare con parole di fuoco le inadempienze della Ue, senza prendersi la briga di collegarsi con Bruxelles e prendere parte alle riunioni. Chi non ricorda – nel momento in cui la polemica sugli sbarchi non era ancora stata travolta dalla pandemia nell’attenzione dell’opinione pubblica – come i rappresentanti del governo giallo-verde marinassero le riunioni per la riforma degli Accordi di Dublino, perché a loro non importava risolvere i problemi, ma sollevarli ai fini di propagando e di ricerca del consenso?
Per quanto autorevole e temuto, a Draghi non basta alzare la voce (sempre in maniera garbata) per fare in modo che le cose vadano a posto. Quale sarebbe la linea dura (siamo tornati allo sbattere i pugni sul tavolo?) da tenere verso le grandi aziende del farmaco, evitando di ‘’scusarle’’. Certo, hanno preso degli impegni che non sono in grado di mantenere, probabilmente perché il management ha sottovalutato le difficoltà operative e produttive.
Ma questo è un errore che tanti hanno commesso nel corso dell’annus horribilis del quale non si intravvede ancora la fine. Se ci fosse da definire la strategia che tutti gli Stati europei hanno più o meno adottato si potrebbe parlare dell’idea del ‘’colpo di maglio’’ risolutivo: chiusure in vista della fine dell’incubo. Con i cento giorni di lockdown nel 2020 si pensava di liberarsi del virus (‘’tutto andrà bene!’’) una volta per tutte, anche a costo di mortificare in modo serio l’economia. Poi nel bel mezzo dello smarrimento per la seconda ondata (che era poi sempre la prima ed unica) è arrivata (cosa in sé prodigiosa) la scoperta dei vaccini a riaccendere la speranza di una sollecita uscita dal tunnel. Poi ci si è accorti che sarebbero stati necessari mesi e mesi per mettere in sicurezza le popolazioni, senza tener conto dei limiti fisici della produzione e delle difficoltà organizzative di una vaccinazione di massa per decine di milioni di persone.
Per di più si è verificato quanto accadde da sempre con i virus: la loro mutazione in rapporto alle condizioni ambientali in cui si diffondono. Sorge allora un dubbio atroce: sarà in grado il vaccino di fare effetto anche nelle varianti del covid malefico?
E se fosse questo il dubbio che si pongono i Big Pharma: preparare, a marce forzate e in grande quantità, un vaccino che ben presto si riveli inefficace; e prima o poi resti inutilizzato nei magazzini? “