La parità di genere e la parità di opportunità sembrano ancora distanti in un contesto sociale come quello italiano, non da ultimo il caso sportivo di Aurora Leone che avrebbe voluto giocare la Partita del cuore.
Dell’evento, solo l’ultimo di una lunga serie, ne abbiamo parlato con la Professoressa Alessandra Servidori, docente esperta di welfare, politiche attive del lavoro e diritto antidiscriminatorio, nonché Presidente Nazionale Associazione TutteperItalia, che nel suo lungo editoriale in cui affronta la tematiche delle discriminazioni femminili a 360°, dice: ‘ Basterebbe conoscere e rispettare l’art 3 e 37 della nostra Costituzione per evitare scivolate come quella accaduta nei giorni scorsi nell’ambito sportivo per non commettere bestialità‘.
Vi lasciamo alle sue parole, invitandovi a leggerle con attenzione, certi che in esse possano trovarsi molti spunti di riflessione da cui partire, affinché nel tempo la strada per raggiungere la ‘vera’ parità di genere sia meno irta.
Così la Servidori: “Potrebbe sembrare assurdo che nel 2021 si debba ancora parlare di discriminazioni quando si tratta di donne. Basta invece una qualsiasi proposta legislativa che avvantaggi le donne, o che, peggio, tocchi i vantaggi ormai acquisiti maschili – guai a parlare di quote! – per assistere ad una levata di scudi. La parità di opportunità non si è verificata, in un contesto sociale, quello italiano, che su molti fronti è ancora ben lontano dal concepire i ruoli del maschile e del femminile come bilanciati. Da una parte servono riforme strutturali, dall’altra un grande cambiamento culturale e più coraggio delle giovani.
Nell’anno 2021, dove modernità e tecnologia sono i capisaldi della nostra società, possiamo ancora affermare che esistono discriminazioni tra uomini e donne e li vediamo continuamente. Molti potrebbero pensare che quello della disparità tra uomo e donna non sia un problema presente in tutte le società.
Rispetto a cinquant’anni fa le donne lavorano, in alcuni casi anche a tempo pieno; hanno la possibilità di scegliere da sole il proprio destino, di divorziare dal proprio compagno e di vestire come meglio credono. Si tratta senza dubbio di conquiste importanti, che tuttavia non annullano del tutto le differenze di genere ancora presenti anche in Occidente.
In Italia non vi sono “palesi” discriminazioni, né sul posto di lavoro né nella vita ma guardando più a fondo i dati si scopre che solo il 22% dei dirigenti in Italia sono donne, contro il 78% degli uomini , la maggior parte delle quali si trova in Lombardia e Lazio. Inoltre, secondo il Global Gender Gap Report 2020, su 144 Paesi esaminati, l’Italia si piazza al 126esimo posto per la parità retributiva tra uomini e donne, e al 118esimo per la partecipazione delle donne all’ economia.
Basterebbe conoscere e rispettare l’art 3 e 37 della nostra Costituzione per evitare scivolate come quella accaduta nei giorni scorsi nell’ambito sportivo per non commettere bestialità poi costate le dimissioni del guru difensore di un pseudo regolamento misogino.
Sono pratiche molto distanti dalla teoria dunque che creano barriere legali che limitano l’accesso delle donne al mondo sociale e soprattutto al diritto di piena cittadinanza e spesso del lavoro e ristringono la possibilità di arrivare ad una vera equità di genere che, è stato dimostrato, ha effetti negativi anche sulla crescita globale.
Ogni giorno, per esempio, nel mondo del lavoro, le donne subiscono gli effetti della discriminazione di genere in tre ambiti: l’accesso al mondo del lavoro, le carriere e i salari.
Ma come ha fatto il genere a trasformarsi in un giudizio di valore diverso per donne e uomini? La presenza di una società prettamente maschilista sia sotto il punto di vista politico che religioso. Certo, rispetto a qualche anno fa le donne hanno più facilmente accesso al mondo del lavoro, ma difficilmente arrivano a ricoprire posizioni importanti.
Fattore ancora più importante, è quello del gap salariale: secondo un rapporto dell’Onu, nel mondo le donne guadagnano in media il 23% in meno degli uomini. Questo accade perché solitamente lavorano meno ore retribuite, operano in settori a basso reddito o sono meno rappresentate nei livelli più alti delle aziende.
Ma anche, semplicemente, perché ricevono in media salari più bassi rispetto ai loro colleghi maschi per fare esattamente lo stesso lavoro. Esistono poi dei settori in cui le presenze femminili vengono ancora accettate a fatica: le donne sono considerate universalmente più adatte a lavorare in settori come istruzione e cura, mentre sono guardate con scetticismo se sognano di diventare informatici, ingegneri o tecnici o addirittura come nel caso recente se sono professioniste e vincenti nello sport agonistico .
Insomma, la strada lungo la parità certa è ancora lunga. E’ decisamente necessario un intervento della politica: servono leggi mirate per garantire parità di trattamento e pieno rispetto delle regole sui luoghi di lavoro e nei pubblici uffici e nei luoghi della cultura e se non rispettate sanzioni pesanti.
E per ora è necessario che le donne soprattutto le giovani donne non vittimizzino ma abbiano il coraggio appunto di denunciare questi soprusi sapendo che se si va in causa la legge c’è e un bravo o brava avvocato/a la fa rispettare.
Comunque è importante essere solidali veramente e non lasciare sole coloro che hanno coraggio di andare avanti. Ha ragione Natalia Aspesi 92 enne che nei giorni scorsi ha ricordato in una intervista eloquente e molto molto tonica come le donne impegnate nel rivendicare i nostri diritti devono allearsi e non combattersi. Natalia a fronte di attacchi sbraitati da alcune femministe e vista con sospetto dai nuovi maître à penser dall’ideologia femminista formato hashtag, ha fatto affermazioni straordinarie. Catcalling, bodyshaming, body positive sono tutti termini copiati dall’America di cui le donne normali non ne conoscono il demenziale senso tanto meno la traduzione.
Concordo con Aspesi : noi donne negli anni 70 abbiamo tracciato un terreno di libertà e adesso le libertà sono molto modeste. Non sono come chiedere la parità di compenso, di lavoro o la possibilità di fare carriera come si chiedeva prima, adesso si chiede che gli uomini non ti dicano: ‘Stai zitta’.
Insomma, è questione di prospettive e queste sembrano piccole. E’ un femminismo piccolo e vittimistico. E non basta”.
Ringraziamo di cuore per l’ elaborato la Professoressa Alessandra Servidori e confidiamo di poterla ancora come gradita ospite sulle pagine de ‘Il valore Italiano’