Innanzitutto vorrei cominciare con qualche sottolineatura. Sì, proprio qualche sottolineatura introduttiva è indispensabile. Serve a cogliere fino in fondo l’evento voluto da Francesco il 23 giugno 2023 incontrando gli artisti, sul quale ho meditato molto a lungo.
Il primo richiamo va fatto ricordando subito il luogo dell’incontro: la Cappella Sistina. Si tratta indubbiamente del locale più denso di storia artistica del Vaticano. Non solo, è il locale deputato, secondo una tradizione consolidata nei secoli, all’elezione del pontefice. Ricevere gli artisti qui significa rimarcare in modo importante il legame che è sempre intercorso tra chi viene chiamato a guidare la Chiesa e l’arte.
Un secondo richiamo: l’assegnazione delle poltroncine agli artisti invitati. Tenendo conto della rigidità di un protocollo consolidato nei secoli, a Francesco si è posto il problema del criterio da usare per individuare i posti da riservare agli invitati. Appare infatti evidente che agli occhi attenti degli osservatori, ma anche dei personaggi coinvolti, la procedura usata avrebbe potuto far pensare all’esistenza, sia pure celata, di valutazioni sul valore dei lavori dei singoli ospiti del papa. La soluzione trovata ed applicata ha eliminato tutte le possibili interpretazioni tendenziose. Francesco ha scelto il rigoroso ordine alfabetico, anche per sottolineare che non esiste per gli artisti un ordine di importanza da applicare.
Merita anche di essere evidenziato, prima di passare all’impegnativo contenuto del discorso, un terzo richiamo: all’inizio dell’udienza pontificia c’è stato un preludio musicale. Vengono suonati vari brani, compresa una suite di Bach: lo strumento usato è un violoncello, costruito da artigiani molto speciali, i detenuti del carcere di Opera, nei pressi di Milano, utilizzando un legno altrettanto speciale e ricco di significato, quello di un barcone carico di migranti affondato nel Mediterraneo. Questi tre richiami servono da importante cornice all’incontro di papa Francesco con gli artisti di tutto il mondo.
Il filo conduttore dell’appuntamento di Francesco con gli artisti non solo è molto importante, ma introduce pure un modo singolare per definire il rapporto tra la Chiesa, che sotto certi aspetti può essere considerata un potere istituzionale, e i protagonisti dell’arte e quindi, se si vuole con gli opportuni adeguamenti, tra chi detiene il potere e l’artista. È, per certi versi una relazione del tutto nuova, una relazione che trova nel papa un autorevole, forse il più autorevole, assertore.
Il pontefice proclama infatti la totale libertà dell’artista, che deve avere sempre la possibilità di esprimere ciò che sente senza vincolo alcuno di sudditanza. È una frase forte, in un periodo in cui spesso chi detiene il potere vuole l’artista a sua disposizione, pronto a celebrare sempre tutte le imprese del potente. Si nota – oggi in particolare – la spiccata tendenza anche da parte del potere politico a cercare di sottoporre l’arte al suo servizio.
È vero che le forme che vengono usate sono apparentemente diverse – si fa sovente richiamo infatti all’arte neutrale – la sostanza però è che sotto la parola “neutralità” di fatto si nasconde il desiderio di “ servile encomio”. In parole semplici, quando si parla di neutralità dell’arte si intende invece subordinazione latente dell’attività artistica. Del resto è questo un discorso che porterebbe lontano, come ben ci ricorda il Parini nell’ode “Il Giorno”.
Sia ieri sia oggi l’artista non deve essere asservito al potere e non deve curarsi neppure di essere “neutrale” perché la neutralità, essendo una forma di richiesta di chi sta al potere, finisce per essere una concreta forma di dipendenza.
Per papa Francesco l’artista deve essere assolutamente libero e deve avere la possibilità di seguire la sua inclinazione naturale. In questa sua ricerca, tra l’altro, l’artista è in grado, a differenza di altri titolari di “saperi specializzati” di “vedere la vita come realtà poliedrica”. Non solo. L’artista, cogliendo la realtà, nella quale ci muoviamo, con le sue diverse facce sa sempre cogliere la dimensione dello Spirito.
A sostegno di questa sua tesi, Francesco cita Romano Guardini– ed è questa una delle tre citazioni importanti del suo discorso – un importante teologo del secolo ventesimo. Il pensatore in una sua opera (L’opera d’arte – Brescia 1998) approfondisce la condizione psicologica in cui viene a trovarsi l’artista, quando lavora, che è quella del fanciullo e del veggente.
Per quanto riguarda il riferimento al fanciullo, si può osservare che Guardini – e quindi Francesco – fa sua – ovviamente in modo più approfondito – la tesi di Platone, ripresa anche da Giovanni Pascoli in un suo scritto e nelle sue composizioni, secondo la quale in ogni essere umano vi è un fanciullo che, mentre l’uomo si sviluppa, cresce, matura, invecchia, resta sempre giovane e fa sentire la sua voce fuori dagli schemi dell’età.
Per Guardini infatti l’artista sente la voce interiore del fanciullino e quindi si esprime senza tenere conto di quanto l’esperienza di vita, realmente vissuta, gli ha procurato. Di conseguenza solo se l’artista è veramente libero, senza condizionamento alcuno, può ascoltare il fanciullino che ha dentro e quindi produrre arte.
Non solo, ma il fanciullo ha una possibilità in più: il suo orizzonte è molto più ampio dell’orizzonte dell’uomo maturo. Quest’ultimo, grazie ad una serie di nozioni acquisite con gli studi o la quotidianità, si è costruito uno spazio ristretto all’interno del quale muoversi. La scienza infatti ha tarpato le ali della sua fantasia, di conseguenza ogni sua mossa deve essere basata su puntuali conoscenze scientifiche. Il fanciullo non ha questi limiti, con la sua fantasia si crea mondi che sono il frutto del suo spaziare in un ambiente e spazi che non hanno ancora confini. Il fanciullino che guida l’artista nel suo lavoro lo porta a sognare nuove e possibili visioni.
Francesco – supportato in questo da una eccellente pensatrice, Hannah Arendt – aggiunge poi, a proposito del bambino, una sottolineatura, che solo la figura e l’azione del fanciullo sono in grado in grado di suggerire: l’opera artistica, che viene concepita proprio grazie a lui, genera l’idea di vita e non di morte.
Il lavoro dell’artista è allora, anche per questa ventata vitale, utile, anzi indispensabile per superare una visione assai diffusa, che vuole l’uomo portato verso la morte, invece – e l’arte favorisce tutto questo – l’uomo è portato verso la vita. Del resto per papa Francesco la procreazione umana non solo è strumento per garantire la continuazione del genere umano, ma è esaltazione di questa continuazione, che è anche foriera di sempre più interessanti e positive novità.
L’artista per papa Francesco non è però solo un fanciullino che, libero da qualsiasi schema, è in grado di produrre opere, all’interno delle quali ci sono sempre dei valori, in quanto è possibile il loro recupero anche quando ciò che viene rappresentato sembrerebbe negativo e potrebbe generare in prima istanza orrore. Ha l’artista, nella visione, che precede la sua opera, pure la dote del veggente. È questa la conseguenza della teoria del fanciullino.
Se il fanciullino sogna e scopre, quindi vede, mondi nuovi, allora si crea la novità. Del resto è Dio, – e qui Francesco riprende un passo del profeta Isaia e una riga dell’ Apocalisse – , che dice: “Ecco faccio una cosa nuova, proprio ora germogliata: non ve ne accorgete? ” e che dirà : “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.
Per rendere meglio questo suo concetto, papa Francesco richiama senza fare nome, uno scrittore latinoamericano che afferma: “noi, le persone, abbiamo due occhi, uno per guardare quello che vediamo e un altro per guardare quello che sogniamo. E quando una persona non ha questi due occhi o soltanto parte dell’uno e parte dell’altro, le manca qualcosa”. L’artista dunque con la creatività riesce ad esprimere quello che sogna, che ovviamente si aggiunge a quanto coglie con il guardare.
Francesco poi, riprendendo Guardini, aggiunge che essere veggenti significa anche intuire gli scenari futuri della vita e quindi trasferire nell’opera artistica il futuro, anticipandolo. Per chiudere questa riflessione allora si può ben dire che l’artista, anticipando questo futuro, diventa un portatore di novità. E forse, senza correre il rischio di un’eccessiva enfatizzazione, l’artista è anche profeta proprio perché anticipa il futuro.
All’arte è sempre stato legato il concetto di bellezza. Se per definire le due caratteristiche fondamentali dell’artista papa Francesco fa ricorso ad un teologo cattolico di grande fama ma soprattutto di profonda autorevolezza, per esplicitare il rapporto tra arte e bellezza il pontefice coinvolge una scrittrice, Simone Weil, e cita una sua considerazione molto profonda tratta dal suo volume “L’ombra e la grazia”: “La bellezza seduce la carne per ottenere il permesso di passare fino all’anima”. La frase è forte ma esprime in modo efficace il valore dell’arte, che punta all’esaltazione della bellezza, in quanto valore legata allo spirito.
Da questa considerazione un approfondimento. C’è una bellezza che è solo esteriore, che si ferma all’apparenza. È una bellezza superficiale, che spesso si ottiene con banali accorgimenti. È una bellezza, dice papa Francesco, richiamando una parola italiana, che si ottiene con il “trucco”. Quella vera invece si ha quando l’opera d’arte genera sensazioni, produce flussi che richiamano, che danno come conseguenza una visione armonica, quindi armonia. L’altra, quella superficiale, apparente, truccata è un valore fasullo, provvisorio, che spesso sottende purtroppo solo questioni di grande rilievo economico.
E dopo aver fatto tutta una serie di rilievi, Francesco allora introduce una sua considerazione sulla bellezza artistica, legando il contenuto della bellezza all’armonia. Il punto di partenza del suo ragionamento conclusivo è questo: lo spirito che è nell’artista richiama lo Spirito che anima la Trinità, definito dai teologi come creatore di armonia, anzi armonia.
“E l’artista ha qualcosa di questo Spirito per fare armonia. La bellezza è il riflesso di questa armonia. Essa è la virtù operativa della bellezza. È il suo spirito di fondo, in cui agisce lo Spirito di Dio, il grande armonizzatore del mondo”.
Ma c’è di più. Con il suo ragionamento Francesco arriva anche a definire l’armonia, che si raggiunge “quando ci sono delle parti, diverse tra loro, che però compongono un’unità diversa da ognuna delle parti e diversa dalla somma delle parti. È una cosa difficile che solo lo Spirito può rendere possibile: che le differenze non diventino conflitti, ma diversità che si integrano; e nello stesso tempo che l’unità non sia uniformità ma ospiti ciò che è molteplice. L’armonia fa questi miracoli, come a Pentecoste”.
Merita di essere sottolineata questa riflessione per alcuni versi originale di Francesco, ma che mette molto bene in evidenza il percorso artistico della creazione di un’opera d’arte: nella fase iniziale l’artista è spinto ad agire, combattuto a volte da impulsi contrapposti; il risultato finale della sua opera sarà un lavoro che terrà conto di tutte queste sue pulsioni, anzi saranno tutte presenti ma non sarà la “somma delle parti”.
Dal disordine dunque all’armonia, perché per arrivare ad una sintesi armonica è necessario partire da situazioni, magari, in contrasto tra loro. L’artista è dunque chiamato a portare un contributo utile a mantenere i valori individuali in una società, quella contemporanea, che tende invece ad assorbire tutto in una generale generica globalizzazione.
Prof. Franco Peretti
Cultore di storia della Chiesa