Esprimo subito una mia convinzione molto precisa: per me non poteva mancare nel VII centenario della morte di Dante un intervento di papa Francesco per ricordare il poeta. Questo per due motivi: il primo perché appartiene alla consuetudine dei papi il celebrare il sommo Poeta, in quanto figlio “sia pure difficile” della Chiesa Romana. Il secondo riguarda la vita dell’Alighieri che, con le sue difficoltà, le sue sofferenze, le sue incomprensioni, ha molte analogie con quella del cristiano di oggi, che spesso vive momenti difficili, qualche volta è incompreso, in casi assai frequenti è costretto a separarsi dai suoi affetti più intimi e profondi.
Naturalmente il ricordo dell’illustre fiorentino è fatto dal papa con lo stile che è proprio di Francesco, nel solco cioè della tradizione papale e, nello stesso tempo, con la sua spiccata sensibilità culturale e dottrinale.
Un’ultima sottolineatura prima di entrare nel merito delle considerazioni di Francesco. Ancora una volta emerge il suo stile letterario. Il tono è pacato, la struttura delle frasi semplici, perché Francesco vuole essere letto da tutti, ponendosi accanto a tutti. Ma dobbiamo fare attenzione: semplicità non significa mancanza di cultura, perché la cultura di Francesco è profonda; ne sono una prova concreta i puntuali richiami alle opere del poeta. Non esiste, infatti, affermazione di papa Bergoglio che non sia confermata da frasi dantesche. Questa è, a mio avviso, un’indiscutibile conferma della cultura di Francesco, con buona pace dei suoi detrattori.
L’incipit della sua lettera apostolica del 25 marzo 2021 è sostanzialmente dedicato ai suoi predecessori del secolo scorso e dell’attuale secolo, perché, dice Francesco, questi suoi predecessori nei loro documenti su Dante fanno una serie di richiami che possono essere ben compresi oggi.
Parte, infatti, citando il pontefice della prima guerra mondiale, Benedetto XV, perché questo papa ricordò Dante con un’azione concreta – quella di contribuire al restauro della chiesa ravennate di San Pietro Maggiore, dove furono celebrate le esequie di Dante e dell’area dove è sepolto – e con uno scritto – una lettera enciclica per celebrare la sua poesia e la sua appartenenza alla Chiesa.
Per capire il gesto di Benedetto XV si deve tenere presente il tempo e le teorie culturali in vigore nel periodo del precitato pontefice. Erano momenti in cui dominava un accanito anticlericalismo e, di conseguenza, momenti in cui si negava in tutto e per tutto il collegamento dei grandi pensatori alla Chiesa Cattolica.
Anche Dante Alighieri veniva presentato come un anticlericale, un ostinato avversario del mondo cristiano, soprattutto della gerarchia ecclesiastica. In parole semplici, il Sommo Poeta era presentato con un accanito nemico dei preti. Benedetto XV rivendica invece per Dante la sua appartenenza alla Chiesa e in particolare “l’intima unione di Dante con la cattedra di Pietro”, perché l’accanimento dell’Alighieri non è contro l’istituzione petrina ma è contro indegni rappresentati che ricoprono ai massimi vertici incarichi molto importanti.
Il secondo papa che viene ricordato da Francesco per la sua attenzione al Poeta fiorentino è Paolo VI perché Montini, in diverse circostanze, compresa quella del VII centenario della sua nascita (1965), esalta, nella lettera apostolica, Altissimus cantus, il legame tra Dante e la Chiesa e ritiene che sia un diritto della chiesa coltivare la memoria “in quanto Dante amò la Chiesa di cui cantò le glorie”.
Del resto Paolo VI fece due gesti eloquenti a dimostrazione dell’alta considerazione che aveva di questo autore: donò sia una croce dorata per arricchire il tempietto ravennate che custodisce il sepolcro di Dante “fino ad allora privo di un tal segno di religione e speranza”, sia un’aurea corona d’alloro per il battistero di Firenze.
Per rendere poi ancora più diffuso il ricordo e la stima per l’autore della Divina Commedia volle donare a tutti i padri conciliari un’artistica edizione della sua opera immortale. Paolo VI, ricorda l’attuale pontefice, utilizza l’insegnamento di Dante per ribadire l’importanza dell’arte che aiuta a comprendere i misteri che la fede ci invita ad accettare. Non solo; per Montini la Divina Commedia “non si propone solo di essere politicamente bella e moralmente buona, ma in grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’inferno a quello beatificante del paradiso”.
Per comprendere fino in fondo il pensiero di Montini si deve tenere presente il difficile periodo in cui visse Paolo VI. Si era nella fase della contestazione a tutti i livelli, con frequenti manifestazioni violente ed omicide. Il pontefice andava proclamando la necessità di un nuovo umanesimo.
Anche i successori di Paolo VI, pur non avendo il compito di ricordare anniversari di nascita o di morte di Dante Alighieri, hanno ricordato il sommo Poeta. Lo ha fatto Giovanni Paolo II nel 1985, all’inaugurazione della mostra Dante in Vaticano, affermando che l’opera di Dante deve essere interpretata “come una realtà visualizzata, che parla della vita, dell’oltretomba e del mistero di Dio con la forza del pensiero teologico trasfigurato dallo splendore dell’arte e della poesia, insieme congiunte”.
Anche Benedetto XVI, nell’enciclica Deus caritas est parte proprio dalla visione dantesca di Dio e dice che “luce ed amore sono una cosa sola” e più avanti afferma che Dante “nella sua opera scopre una cosa totalmente nuova […] la luce eterna si presenta nei tre cerchi, vale a dire quelli della Trinità”.
Mi preme sottolineare subito un concetto, che può essere considerato propedeutico: nelle sue considerazioni, tutte positive, Francesco sottolinea la sua convinta adesione alle intuizioni del poeta, che scopre, tra l’altro con controllato compiacimento essere in sintonia con il suo modo di concepire l’uomo, il mondo vivente ed il creato nella sua totalità. Ecco alcuni elementi a mio avviso particolarmente significativi:
La prima sottolineatura di Francesco riguarda la vita di Dante. L’esperienza esistenziale del poeta presenta una serie di caratteristiche, che ben rappresentano anche le tappe problematiche dell’uomo contemporaneo.
L’Alighieri infatti è uomo legato alle sue radici, cioè alla sua città natale, ed è affascinato dai suoi valori. Si sente e si sentirà quindi sempre cittadino di Firenze, lottando ogni giorno con tenacia per il suo sviluppo sociale e morale, anche se non accetterà mai i comportamenti negativi dei Fiorentini nei suoi confronti ( Floterntinus natione, non morbus).
Non solo: costretto a fuggire, è esule in altre città e vive, in conseguenza di questo esilio, in stato di povertà. Nonostante tutto questo disagio enorme non perde la speranza. Tutte queste sue condizioni mettono in evidenza paradigmatiche sofferenze che si possono sovrapporre alla situazione dell’uomo contemporaneo, che deve sopportare le difficoltà ben conosciute da tutti. Il collegamento allora tra Dante e l’uomo di oggi balza agli occhi con tutta la sua evidenza.
Francesco, esaminando con profonda riflessione storica la vita di Dante, arriva ad un’altra affermazione: il poeta nelle sue opere acquista il ruolo che è tipico del profeta delle sacre scritture. Egli guarda il suo tempo, osserva il comportamento degli uomini, studia le azioni della gerarchia politica e religiosa arrivando a considerazioni pesanti.
In altre parole si comporta come gli antichi profeti che, in nome di Dio, avevano la possibilità di esprimere anche pesanti giudizi di condanna nei confronti delle autorità del loro tempo. Gli antichi profeti facevano tutto questo non per andare contro Dio, ma per guidare il popolo di Dio verso mete nuove e giuste. Per Francesco, Dante si comporta come gli antichi profeti ed è un profeta non solo che condanna ma che dà speranza per la costruzione di un mondo migliore.
Credo che questa speranza sia l’elemento che più affascina Francesco, che vede nel cammino di Dante un cammino di speranza che dalla «selva oscura» porta alla salvezza eterna.
Un’altra dote di Dante, che piace a Francesco, è la sua capacità di leggere in profondità il cuore umano e di trovare in tutti, anche nei più abietti e inquieti, una scintilla di desiderio di raggiungere una qualche felicità, magari una pienezza di vita.
Dante può essere un modello per l’uomo del nostro tempo; il poeta, infatti, nel suo percorso di redenzione “si ferma ad ascoltare le anime che incontra, dialoga con esse, le interroga per immedesimarsi e partecipare ai loro tormenti oppure alle loro beatitudini”.
In questo suo modo di procedere scopre, interpreta e canta sempre i loro desideri, perché tutte le anime che dialogano con lui sono spinte da un desiderio, quello di migliorare sé stesse e trovare la felicità. Viene naturale, a questo proposito, richiamare il modo di sentire di Sant’Agostino, quando nella sua inquietezza dice, all’inizio delle Confessioni, “il mio cuore è inquieto fino a quando non trova in Dio la pace”.
Per Francesco il cammino descritto nella Divina Commedia è il cammino del desiderio, del bisogno profondo di cambiare tipo di vita. Ebbene anche in questo ambito c’è una caratteristica dell’uomo contemporaneo.
Il cammino di cui parla Dante non è un cammino illusorio o utopistico, ma è un cammino concreto nel quale tutti possono inserirsi e sono liberi di inserirsi. Per dimostrare questa libertà, il Sommo Poeta si richiama – e questo è un altro tema caro a Francesco – alla misericordia divina, che sa giudicare con sommo equilibrio.
Non a caso Francesco, a prova di quanto appena affermato, richiama due personaggi, l’imperatore Traiano e il nobile Buonconte da Montefeltro, il primo pagano ma collocato nel Paradiso, per un atto di carità, il secondo pentito all’ultimo minuto; essi sono prova della misericordia divina e, nello stesso tempo, della libertà umana. Questa libertà non è però fine a sé stessa, ma serve a garantire il percorso verso la felicità, che è oggetto del desiderio umano.
Anche il ruolo della donna viene esaltato nella Divina Commedia così come oggi la donna trova un sempre più sentito e convinto riconoscimento nella società ed anche nella Chiesa. Il pensiero di Dante aiuta a capire l’importanza della presenza femminile.
L’Alighieri, del resto, professa questa sua convinzione fin dalle prime battute della sua opera, quando fa dire a Virgilio che sono tre donne che lo hanno spinto ad andare incontro a lui per riportarlo sulla «diritta via»: Beatrice, che rappresenta la speranza; Lucia, che rappresenta la fede e Maria, madre di Cristo, che rappresenta la carità.
Tenendo presente il pensiero di papa Francesco, non poteva ovviamente mancare una riflessione sulla figura di San Francesco, sposo di Madonna Povertà e sul rapporto tra Francesco e Dante.
Tra le tante considerazioni e i tanti accostamenti che si possono fare, uno sembra al papa molto importante: Francesco scelse di uscire dal convento, di andare in mezzo alla gente, di entrare nelle famiglie per dialogare, predicare, convertire. Dante, pur potendo usare il latino per il suo poema, predilesse il volgare, la lingua di tutti, per spiegare il grande mistero della vita e del mondo.
Guardando il lavoro dantesco, ricco di immagini, figure, richiami storici e mitologici, può nascere, dice Francesco con una sottolineatura molto profonda, un confronto con la nostra realtà che, con i suoi strumenti multimediali, può far pensare alle conoscenze enciclopediche del periodo di Dante, conoscenze di cui Dante stesso è il più significativo testimone.
Prof. Franco Peretti
Cultore di storia della dottrina sociale della Chiesa