Il 29 maggio 1917 nasceva a Brooklyn, da una famiglia di origini irlandesi, John Fitzgerald Kennedy. Nel 1960, dopo il servizio militare nella Guardia Costiera, Kennedy diventò il primo presidente cattolico nella Storia degli Stati Uniti d’America.
La sua politica estera fu al centro delle critiche più severe, dopo il fallito tentativo di invasione alla Baia dei porci e la successiva crisi dei missili di Cuba. Sul piano della politica interna, si impegnò nella lotta alla disoccupazione con un ingente programma sociale di sussidi e aumenti salariali; vennero aumentati anche gli investimenti nella ricerca scientifica e nei programmi spaziali e le spese per la difesa militare, con il conseguente incremento delle commesse per le industrie belliche.
Sul piano della politica estera, invece, i primi mesi del 1961 furono contrassegnati da una serie di crisi internazionali: Kennedy era deciso a proseguire la politica di “contenimento” di un comunismo che si stava pericolosamente estendendo mettendo a rischio la democrazia, e con questo spirito approvò un piano strategico preparato dall’amministrazione precedente che si proponeva di rovesciare il regime comunista cubano di Fidel Castro. L’operazione di sbarco alla baia dei Porci, però, fallì clamorosamente e il presidente se ne assunse la piena responsabilità. Nel tentativo di avviare un dialogo con l’Unione Sovietica, nella primavera del 1961 si incontrò con il premier sovietico Nikita Kruscev con il quale concordò la neutralizzazione del Laos, allora minacciato dai rivoluzionari comunisti, ma non riuscì a raggiungere un’intesa che smorzasse le tensioni in corso a Berlino.
Quando, nell’agosto dello stesso anno, a Berlino venne eretto il Muro, Kennedy rispose con l’invio di 1500 uomini nella città tedesca. Recatosi nella città, la parete occidentale della città per l’esattezza JFK pronunciò in tedesco la famosa frase “Io sono berlinese” come a garantire che mai il popolo tedesco sarebbe stato lasciato solo contro il comunismo sovietico e della DDR. Le tensioni della Guerra Fredda si accentuarono ulteriormente quando l’Unione Sovietica riprese gli esperimenti nucleari nell’atmosfera; la minaccia di un nuovo conflitto mondiale divenne pressante nell’autunno del 1962, con la crisi cubana dei missili. Alcuni aerei da ricognizione USA, sorvolando l’isola di Cuba, scoprirono l’esistenza di basi missilistiche sovietiche: il presidente americano pose l’embargo all’isola, ordinando all’Unione Sovietica di smantellare le basi.
Fu necessario l’intervento di Papa Giovanni con una diretta televisiva, fu una diretta drammatica nella quale il “Papa buono” com’era chiamato, implorò le parti in causa a scegliere la via della pace e del dialogo. Le sue preghiere, e quelle del mondo che per alcune ore si vide sull’orlo di una nuova guerra mondiale, furono esaudite. Il 28 ottobre Kruscev aderì alla richiesta di Kennedy e il presidente degli Stati Uniti sciolse l’embargo assicurando che l’isola non sarebbe stata invasa. La ritirata sovietica fu per Kennedy un trionfo politico e personale. Il clima internazionale si distese maggiormente nel 1963, quando USA, Gran Bretagna e URSS riuscirono a raggiungere un accordo per la messa al bando degli esperimenti nucleari. Kennedy istituì inoltre l’Alleanza per il progresso, un piano di aiuti per lo sviluppo economico dell’America latina.
Tali successi sul piano internazionale furono tuttavia oscurati dall’aggravarsi della situazione in Vietnam, dove Kennedy aveva inviato 17.000 uomini a sostegno di un regime instabile minacciato dalla corruzione e da una crescente rivolta comunista. Inizialmente il presidente privilegiò una forma di intervento “soft” fondando le Unità dei Green Berets, i famosi Berretti Verdi che furono inviati in Vietnam come istruttori. Anche se l’area intera compresa la Cambogia ed il Laos erano sotto costante attacco dei comunisti foraggiati ed armati dall’Urss, dalla Cina e dai Paesi del Patto di Varsavia. Nell’autunno del 1963 il presidente cominciò a organizzare la campagna per la sua rielezione; l’impegno per favorire l’integrazione razziale e garantire il diritto di voto ai neri aveva suscitato un crescente malcontento e gruppi di ispirazione razzista avevano provocato gravi episodi di violenza. Il 22 novembre, mentre attraversava la città di Dallas a bordo di una limousine scoperta, Kennedy colpito con almeno due fucilate, di cui una alla schiena ma il busto che indossava gli impedì di chinarsi in avanti mentre un proiettile lo colpì in pieno alla testa. Ricordiamo ancora tutti le immagini di quando il proiettile devasta la nuca di JFK e subito Jaqueline protendersi per recuparare i frammenti di cranio sparsi sull’auto. Il presidente morì ore più tardi in ospedale dove venne tentato il possibile. La notizia del suo assassinio suscitò un’immensa emozione sia nel paese sia nel mondo intero.
Poche ore dopo la sua morte, venne arrestato un ex marine, Lee Harvey Oswald, che due giorni più tardi fu a sua volta assassinato mentre veniva trasferito da un carcere a un altro. Nel settembre del 1964 il presidente della Corte Suprema Earl Warren pose fine alle indagini stabilendo che il presidente era stato ucciso da Oswald, che aveva agito da solo, ma la sentenza non mancò di sollevare molti dubbi, tuttora insoluti. Fra le varie ipotesi, confermate anche dalle dichiarazioni di numerosi testimoni, si fa strada quella di un complotto a fini politici, ordito forse dalla mafia o da esuli cubani.
La vicenda dell’assassinio di JFK ancora oggi accende discussioni e suscita incertezze e numerosi interrogativi, vuoi per l’amore e la popolarità che la figura politica e umana seppe conquistare, vuoi perchè nonostante l’impegno della commissione Warren sia stata il più possibile capillare e scrupolosa sono tutt’oggi le zone d’ombra che forse mai verranno chiarite. Si spegneva nel peggiore dei modi il sogno di un’America giovane con voglia di futuro e libertà.