È quanto emerge dal rapporto di Save the Children intitolato “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021”. Quattro mamme su cinque che hanno perso il lavoro hanno figli con meno di 5 anni, grande il divario tra Nord e Sud
Senza alcun dubbio il Covid ha aggravato la precaria situazione economica che il Paese stava attraversando già da tempo, ma tra le categorie che maggiormente hanno pagato gli effetti della crisi scatenata dalla pandemia ci sono le mamme. È quanto denuncia Save the Children nel sesto rapporto intitolato “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021”.
Nel 2020, che potremmo definire ‘annus horribilis‘, sono 249mila le donne hanno perso il lavoro e 96mila di queste erano mamme. Tra queste quattro su cinque hanno figli con meno di 5 anni. Madri che a causa delle restrizioni e della necessità di seguire i bambini più piccoli, lasciati fuori dagli asili nido e dalle scuole materne, sono state costrette a rivedere la propria posizione lavorativa, sacrificandola per seguire i bambini. E risulta ancora molto evidente il divario tra Nord e Sud, soprattutto in Campania e Calabria.
Già prima della pandemia la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, è spesso interconnessa alla carriera lavorativa. Stando ai dati, nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze dei figli.
Diventare madri in Italia significa percorrere un vero e proprio percorso a ostacoli e non sarà un caso se il nostro Paese detiene il primato delle più anziane d’Europa alla nascita del primo figlio: nel 2020 si diventa mamme per la prima volta a 32,2 anni, contro una media europea di 29,4 anni.
Anche il tasso di natalità ha subito durante la pandemia un ulteriore scossone in negativo: secondo i dati provvisori del bilancio demografico mensile, i nati del 2020 sarebbero 404.104, cioè quasi 16 mila in meno rispetto al 2019 (-3,8%).
E pensare solo 1 donna su 10 nata nel 1950 non aveva figli, mentre oltre 6 su 10 (66,4%) ne aveva due o più. Invece tra le donne nate nel 1979 a non avere figli è più di 1 su 5 (22,6%), mentre ad averne due o più è appena la metà (50,7%).
Se analizziamo cosa avviene nel mercato del lavoro quando oltre all’ “essere donna”, già di per sé un oggettivo svantaggio, si aggiunge l’ “essere madre”, il quadro diventa drammatico: solo nel 2019, le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, 2 su 5 a causa delle difficoltà di conciliazione. La distanza tra i generi è ancora siderale: oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri.
Un altro fenomeno riprovevole sul quale sono state effettuate numerose ricerche è quello che fa riferimento alla “child penalty”, la penalità a carico delle donne lavoratrici all’arrivo di un figlio o anche solo alla prospettiva di potere o volere diventare madri: in Italia, secondo quanto rilevato dalle analisi dell’INPS “La penalità è molto pronunciata nel breve periodo – in particolare nell’anno del congedo e in quello successivo – ma permane anche a diversi anni di distanza dalla nascita. A quindici anni dalla maternità, i salari lordi annuali delle madri sono di 5.700 euro inferiori a quelli delle donne senza figli rispetto al periodo antecedente la nascita”. Pari al 53% in meno.
La pandemia ha aggravato una condizione che già prima presentava moltissime criticità. Molte donne erano infatti già lasciate fuori dal mercato del lavoro per l’impossibilità di coniugare vita lavorativa e familiare e realizzazione personale.
L’anno del Covid ha esacerbato questa situazione. Sono in totale 456 mila i posti di lavoro evaporati (-2% rispetto al 2019) e le più colpite sono le donne che rappresentano 249 mila unità (-2,5%) rispetto ai 207 mila uomini (-1,5%). In particolare, guardando al versante delle madri, il saldo delle occupate fa segnare un calo di -96 mila donne tra il 2019 e il 2020, di cui in particolare 77 mila in meno tra coloro che hanno un bambino in età prescolare e 46 mila in meno tra chi ha un figlio alla primaria (6-10 anni), mentre risultano aumentate le madri occupate con figli da 11 a 17 anni (+27 mila).
I tassi di occupazione dei 15-64enni decrescono per entrambi i generi, passando al 67,2% per gli uomini (- 0,8%) e al 49% per le donne (- 1,1%). In questo modo, i divari di genere, già consistenti in precedenza, si esasperano e nel 2020 raggiungono la soglia del 18,2%, penalizzando come sempre, alcune aree. Se al Nord e al Centro, infatti, si mantengono intorno al 15%, la forbice si allarga fino a 23,8% nel Mezzogiorno.
La distribuzione dei carichi di cura all’interno delle famiglie non si è modificata neanche in tempo di pandemia. Sono state soprattutto le mamme a dover gestire contemporaneamente nuove modalità di lavoro (o perdita di questo), appesantiti carichi di attività domestiche, maggior cura dei figli, preoccupazioni sul versante sanitario e spesso economico.
Uno studio dell’Università di Torino basato su interviste a 800 donne prima (aprile e luglio 2019) e durante (aprile 2020) la pandemia per valutare le disuguaglianze nei carichi di lavoro domestico e cura tra uomini e donne, fa emergere che nel periodo del lockdown le donne hanno incrementato sia il tempo dedicato alle faccende domestiche che quello rivolto alla cura dei figli; per gli uomini, invece, l’incremento si è verificato solo su quest’ultimo versante, senza modificare il contributo alle faccende domestiche.
Lo “shock organizzativo familiare” causato dal lockdown, secondo le stime, avrebbe travolto un totale di circa 2,9 milioni di nuclei con figli minori di 15 anni in cui entrambi i genitori (2 milioni 460 mila) o l’unico presente (440 mila) erano occupati. Lo “stress da conciliazione”, in particolare, è stato massimo tra i genitori che non hanno potuto lavorare da casa, né fruire dei servizi (formali o informali) per la cura dei figli: si tratta di 853 mila nuclei con figli 0-14enni, nello specifico 583 mila coppie e 270 mila monogenitori, questi ultimi in gran parte (l’84,8%) donne.