Ho avuto l’occasione, proprio in questi giorni, di avere tra le mani un libro di Marco Alex Pepè dal titolo un po’ particolare, “Misteri & leggende del Piemonte” (Editoriale Programma – casa editrice). Essendo per mentalità e cultura professionale portato alla ricerca storica, subito non ho sentito nessuna particolare attrazione per questo testo. Sono infatti sostanzialmente tentato a divorare testi basati su precisi richiami documentali. In altre parole, solitamente non dedico molto tempo a volumi che sono solo ed esclusivamente esposizione di eventi frutto della fantasia e dell’immaginazione.
Dopo però un primo momento, in cui era prevalso un totale disinteresse, in me si è sviluppata una particolare e curiosa sensazione: mi sono sentito attratto dai termini del titolo, in particolare da “misteri” e “leggende”. Del resto, a pensarci bene, in qualche circostanza, anche esaminando la descrizione di fatti storici veramente accaduti, qualcosa di misterioso, di non razionalmente definito si trova collegato all’evento illustrato e corredato di prove certe ed inconfutabili.
Non solo. In alcuni casi addirittura si scopre che se non ci fosse stato il fatto misterioso, la storia sarebbe stata scritta in modo diverso. A questo si aggiunga il fatto che sono appassionato del Piemonte e da qualche tempo a questa parte guardo con curiosità la descrizione di diversi episodi di Torino che hanno sicuramente connotati esoterici.
Il combinato disposto, come si dice nella esegesi giuridica, di questi elementi, il richiamo cioè di fatti non spiegabili sempre in modo complessivo da un punto di vista razionale e le caratteristiche un po’ misteriose di alcuni pezzi della vita torinese, mi hanno fatto tornare sui miei passi; ho preso il libro, ho letto il suo contenuto, ho quindi fatto ulteriori ricerche sull’autore, che per alcuni aspetti già conoscevo e sono arrivato a qualche conclusione che cercherò brevemente di illustrare.
Incomincio da chi, proponendo il libro, ha voluto iniziare a dialogare con i suoi lettori e quindi anche con me. Non si tratta intanto di un principiante alle prime armi. È infatti non solo un valido esperto di comunicazione che da decenni opera in questo settore, ma è anche scrittore con diversi titoli nel suo catalogo. Tra i titoli delle sue opere ne richiamo due, perché per argomenti trattati si legano in modo specifico a questo lavoro : “Liguria magica e stregata” e “Misteri & leggende della Lombardia”.
Dalla lettura dei titoli si evince subito che Marco Pepè è un appassionato ricercatore di leggende o di misteriosi eventi che hanno coinvolto queste due regioni. Con il suo lavoro sul Piemonte, nella sostanza, ha voluto produrre, completandola con questo scritto, una trilogia, per evidenziare i collegamenti che possono esistere tra queste tre terre, che sicuramente hanno un passato che storicamente le lega.
Il passato che le lega non è sempre politico – diversi sono infatti i governi di riferimento – i legami sono più di natura religiosa e sociale. Spesso le influenze culturali in senso ampio dei secoli passati hanno coinvolto territori più ampi di quelli disegnati dalle istituzioni attuali. Si pensi ad esempio al ducato di Milano, che alla fine del Seicento e per qualche decennio del secolo successivo arrivava fino alla Valsesia, in provincia di Vercelli, coinvolgendo il basso e alto novarese. Come conseguenza di questa situazione il modo di vedere la comunità di Carlo Borromeo influenzava un ambito territoriale ben più vasto della provincia di Milano e della Lombardia, creando una cultura e una tradizione ambrosiana anche in territori che ambrosiani non erano.
Tra l’altro tracce di queste situazioni esistono ancora oggi: la già citata Valsesia pur essendo in provincia di Vercelli è da un punto di vista della giurisdizione religiosa sotto la diocesi di Novara. Aggiungo a completamento di questa riflessione una mia convinzione personale: quando nascono leggende che si collegano e si sovrappongono in alcuni casi agli eventi realmente accaduti, esiste qualche motivo: o la componente fantastica vuole far passare in secondo piano la realtà effettiva, vale a dire ciò che storicamente è capitato, oppure ha come obiettivo quello di rendere più vivace, più narrativo l’episodio, avvolgendolo con contenuti, frutto della fantasia.
Pepè, nella sostanza, si lascia affascinare dalla seconda parte di questa mia considerazione. Non solo. Si lascia affascinare anche dal fatto che la leggenda è utile per memorizzare gli eventi storici, cioè quelli realmente accaduti – e di questa ricerca del legame tra leggenda e storia ha fatto la sua professione. Tutto questo merita qualche cenno.
Nel suo lavoro l’autore mette in evidenza una sua dote particolare: è un ricercatore attento e pignolo. Dalla lettura del libro si ricava infatti che egli, prendendo in considerazione la leggenda o il mistero, che ha scelto di presentare, usa il metodo tipico dello studioso di anatomia. Seziona l’evento che descrive, mettendone in risalto le varie parti. Le considera tutte importanti allo stesso modo. Dopo averle individuate procede nell’esposizione puntuale ed attenta, in quanto ha un obiettivo, coinvolgere il lettore senza farlo distrarre neppure per un attimo, lettore che ovviamente deve sognare, perché come dice il Pascoli “Il sogno è l’infinita ombra del vero”.
Non solo. Pepè nel suo lavoro tenta, riuscendo perfettamente, di legare la realtà storica con eventi frutto della fantasia. Il punto di partenza del suo racconto è sempre un dato reale: a volte è un immobile –i n termini assoluti l’immobile preferito è il castello con i suoi intriganti meandri – altre volte è un personaggio che nella storia ha lasciato delle tracce significative, altre volte infine è un luogo geografico, un monte, un lago, un borgo, perché queste località con i toni cupi della notte si prestano ad ospitare masche, streghe e maghi. Non a caso le leggende sono raccolte per province e di ogni provincia è indicata la località precisa – riferimento reale -, dove l’evento – frutto della fantasia – si realizza.
Vorrei aggiungere una seconda sottolineatura. Pepè è un narratore. Questa sua caratteristica è conseguenza, per alcuni aspetti, della sua attività professionale. Nella vita l’autore tiene pubbliche relazioni, di conseguenza il suo obiettivo nel lavoro è quello di catturare l’attenzione dell’interlocutore e, nella sostanza, è quello di portare chi lo ascolta su posizioni che lui ha stabilito in precedenza.
Leggendo le sue pagine si avverte proprio questa sua capacità, che consiste nel prendere per mano, con la narrazione, chi legge e di condurlo verso la meta che lo scrittore ha scelto. Tutti i racconti, brevi o lunghi che siano, tendono sempre a questo risultato. A volte il racconto sembra subire una brusca interruzione. Personalmente interpreto questa frenata come un modo per recuperare l’interesse del lettore che il racconto, magari un po’ troppo lungo, forse, ha fatto calare.
Propongo anche un’ulteriore riflessione, questa volta sui racconti che sono brevi e potrebbero sembrare poco significativi rispetto al libro preso nel suo insieme. Questi brani brevi sono un messaggio per chi legge. In altre parole Pepè vuol ricordare a tutti che la sua ricerca è stata minuziosa, attenta anche alle piccole cose, perché anche episodi relativamente insignificanti possono essere utili per generare ulteriori ricerche e, quindi, rendere ancora più vissuto e frequentato il mondo dell’esoterico.
E per finire questa riflessione su Pepè narratore faccio un ultimo richiamo biografico. Pepè non solo è un ricercatore di leggende, in quanto, come anche lui ama dire nella vita, è passato da “ricercatore di fantasmi” a “cultore delle storie di fantasmi”, ma anche guida per gruppi nei luoghi dove sono ambientate le sue leggende. Queste visite, con gruppi sempre assai numerosi, gli hanno permesso non solo di immaginare ambienti, ma di conoscerli e – se l’espressione non è troppo forte – di viverli. Nella sua opera allora si celebra la fusione tra il reale e il fantastico.
Il risultato di questa operazione è un racconto che parte dal reale, veramente visto, per arrivare al fantastico, cioè ad una situazione nella quale, senza difficoltà, ci sia anche l’attività di elaborazione di fantasia del lettore che va ad integrare con un piacevole gioco, che coinvolge il lettore stesso, la descrizione dello scrittore e narratore. Questo risultato è raggiunto da Pepè grazie anche alla sua attività professionale, che lo ha reso esperto e raffinato in questa arte.
Preciso subito che il libro raggiunge con i suoi racconti tutto il Piemonte. Anche sotto questo aspetto ovviamente si tratta di un lavoro originale. Se è vero che esistono libri sull’esoterismo in Piemonte, è altrettanto vero che questo è il primo tentativo di dare un quadro completo delle leggende e dei misteri del Piemonte. Ovviamente, senza togliere i dovuti meriti, si tratta di un primo tentativo che potrà essere in futuro implementato ed arricchito. Il primo – lo affermo per inciso – ad essere convinto di questo è l’autore, che durante uno dei tanti nostri dialoghi, ha confessato l’intenzione di continuare nella sua ricerca delle leggende piemontesi. Da quanto intuisco molto ancora è per lui il terreno inesplorato.
Dall’indice del libro si ricava subito la topografia del volume e l’entità delle leggende territoriali. I racconti sono oltre ottanta e per motivi assai ovvi anche in questo settore la città metropolitana fa la parte del leone con ben 18 narrazioni. Segue – ed è abbastanza comprensibile per le valli che questo territorio ha – il Verbano-Cusio-Ossola, con molti richiami alle vicende di comunità Walser e alla presenza di laghi che si prestano ad ospitare nei loro dintorni maghi, streghe ed esseri misteriosi. A pari merito, da un punto di vista dei racconti, tutte le altre province . Si registrano pertanto brani relativi ad Alessandra, Asti, Cuneo, Vercelli e Novara.
Intuisco che il lettore piemontese partirà nella lettura dalla zona più vicina alle sue radici, ma alla fine non si fermerà al suo territorio. Grazie infatti alla curiosità che il libro suscita, andrà oltre e finirà per avere un quadro assai ampio, anche se ancora non completo, dei misteri e delle leggende del Piemonte come l’autore desidera, sperando magari di averlo come valido informatore.
Non posso chiudere queste rapide riflessioni, senza fare qualche sottolineatura sullo stile di scrittura di Pepè, perché pure il modo di scrivere ha la sua importanza in un libro come questo. Chi scrive infatti di leggende e misteri deve usare espressioni che si addicono a questo tipo di argomento, in quanto deve essere in grado di creare l’atmosfera giusta: un linguaggio troppo scientifico o un linguaggio troppo ricercato non sono in sintonia con gli argomenti trattati.
Il lettore di “Misteri e leggende in Piemonte” avverte subito, grazie al linguaggio piano e a volte un po’ misterioso dell’autore, che si crea l’ambiente giusto per percepire l’arcano, il segreto delle cose raccontate. Le parole di Pepè, facilmente comprensibili fanno capire subito al lettore che chi scrive vuole entrare in intimo contatto con lui per vivere tutto ciò che non è razionale, ma che appartiene comunque al personaggio raccontato.
L’autore sa usare le parole per sedurre e quindi conquistare il lettore. Per alcuni versi le espressioni pulite, da un punto di vista lessicale, richiamano l’italiano classico, quello di manzoniana memoria, con frasi semplici anche quando la materia che viene trattata può sembrare astrusa e complicata da cogliere. In sintesi si legge anche bene e le parole aiutano a far nascere il desiderio di andare a visitare questi luoghi.
Prof. Franco Peretti
Cultore di storia del territorio