Sembrava quasi impossibile immaginare che Stefano Pioli potesse rimanere per un altro anno alla guida del Milan: per il tecnico emiliano sembrava un’impresa titanica scrollarsi di dorso l’etichetta di “traghettatore” ed essere considerato a tutti gli effetti un allenatore degno di guidare una squadra per un’intera stagione. Una nomea molto probabilmente condizionata dal ricordo dei cinque subentri in panchina nel corso di una carriera lunga 16 anni. Senza dimenticare i sei esoneri e le dimissioni rassegnate ad aprile del 2019 al secondo anno dell’esperienza con la Fiorentina.
In pochi però ricordano il tecnico parmigiano quando ha avuto l’opportunità di sedere per un’itera stagione sulla panchina di un club ha raggiunto risultati di tutto rispetto come ad esempio alla guida del Sassuolo in Serie B, durante stagione 2009-2010, quando raggiunse un ottimo quarto posto (la stagione precedente i neroverdi si erano classificati settimi mentre alla stagione successiva sono arrivati sedicesimi), nel 2010-2011 in Serie A al Chievo ha chiuso il campionato in 11° posizione, nel 2012-2013 al Bologna ha conquistato la 13° piazza (l’anno precedente da subentrante era arrivato 9°).
Ma le esperienze più importanti sono state quelle alla Lazio nel 2014-2015 e alla Fiorentina nel 2017/2018. Nella prima stagione biancoceleste è riuscito ad conquistare la terza posizione in campionato, con relativa qualificazione in Champions League, che rappresenta il miglior piazzamento dalla stagione 1999/2000, quella dello scudetto targato Sven-Göran Eriksson, a pari merito con le stagioni 2000/2001 (Eriksson e Dino Zoff) e quella 2006/2007 (Delio Rossi). Mentre sulla panchina della Viola ha concluso la stagione all’ottavo posto, anche se va sottolineato che l’annata è stata condizionata indelebilmente dalla prematura scomparsa di Stefano Astori, capitano dei gigliati che ha lasciato nel club e nell’inteo universo calcistico un vuoto difficile da colmare.
Anche alla corte del Diavolo Pioli ha avuto l’ingrato compito di dover subentrare in corsa alla guida tecnica, nel caso specifico in sostituzione di un Giampaolo che era stato osannato e considerato un vero e proprio innovatore del calcio, alla stregua di un ‘Arrigo Sacchi 2.0’. Peccato però che il gioco e sopratutto i risultati latitassero. Le cronache giornalistiche dicono che Stefano sia stata una seconda scelta, perché la dirigenza avrebbe gradito l’approdo di Luciano Spalletti, che però viste le difficoltà a trovare una congrua liquidazione con l’Inter, ex squadra che lo ha ancora a libro paga, ha deciso di optare per l’attuale tecnico rossonero.
Subentrato dal 9 ottobre non è riuscito ad ottenere sin da subito risultati degni di nota: dalla ottava alla tredicesima giornata la squadra ha conquistato solo una vittoria e due pareggi, mettendo a referto tre sconfitte contro Roma, Lazio e Juventus. Giampaolo nelle prime sette gare era riuscita ad ottenere solo 9 punti, risultato di 3 vittorie e 4 sconfitte. Alla fine di novembre con 14 punti realizzati in 13 gare il Milan sembrava dovesse lottare per non retrocedere, nonostante occupasse in quel periodo occupasse la 12esima posizione.
È quasi certo che i risultati non troppo esaltanti di quel momento abbiano fatto riflettere i vertici societari, in primis l’amministratore delegato Ivan Gazidis che con il timore di ripetere nella prossima stagione gli errori di quella in corso ha pensato fosse il caso di mettere in atto una nuova rivoluzione capace di trasformare in tutto e per tutto il Milan del futuro. E quale miglior modo di stravolgere tutto se non quello di chiamare il “deus ex machina” del settore calcistico del gruppo Red Bull, ovvero quel Ralf Rangnick che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di allenatore, direttore sportivo e tecnico del club? Per cui ci sono stati i primi sondaggi e i primi segreti contatti tra le parti.
Però poi a Parma è arrivata la svolta dal punto di vista dei risultati: trasferta dalla quale i rossoneri hanno cominciato a macinare più punti e a cercare di mettere in campo la filosofia di calcio dell’allenatore, anche se ancora con risultati altalenanti. Nelle successive 13 giornate, dalla 13° alla 26°, sono stati 22 i punti conquistati, 8 in più rispetto alle 13 giornate precedenti. Risultati tutto sommato positivi anche se intramezzati dalle pesanti sconfitte subite contro Atalanta (5-0), Inter (4-2) e Genoa in casa (1-2).
Dopo la 26esima giornata c’è stata la pausa forzata dei campionati dettata dal lockdown imposto a causa dell’emergenza sanitaria da Coronavirus, con l’ombra di Rangnick che continuava ad aleggiare in quel di Milanello nonostante i giocatori fossero costretti ad allenarsi a casa.
Ma la vera e propria svolta tecnica, tattica e di carattere è arrivata alla ripresa del campionato: dalla 27° alla 35° gli uomini di Pioli hanno messo a referto 7 vittorie e 2 pareggi, conquistando la bellezza di 24 punti. Giornata dopo giornata i rossoneri sono riusciti finalmente a mettere in pratica la filosofia calcistica del loro allenatore basata sopratutto sul pressing alto, squadra corta, fraseggio rapido e preciso. Senza dimenticare il grande sacrificio richiesto a tutti i giocatori, sia nella fase offensiva che in quella difensiva, e la richiesta esplicita a centrocampisti e terzini di cercare più spesso gli inserimenti in area di rigore per cercare di aumentare in maniera esponenziale le possibilità di trovare la rete.
Un concetto che ha trovato la sua applicazione grazie all’eccellente stato di forma atletico in cui si sono fatti trovare tutti gli atleti dopo la pausa forzata. Inoltre i 27 gol messi a segno in 9 partite, con una media di 3 marcature a match, rappresentano il risultato inconfutabile che il lavoro di Pioli ha dato i suoi frutti, soprattutto raffrontati con le 21 reti realizzate nelle precedenti 19 gare, con una media di poco superiore ad 1 gol a partita.
Giorno dopo giorno, e risultato positivo dopo risultato positivo, l’ombra di Rangnick si è fatta sempre più ingombrante, fomentata dalle polemiche scatenate da esimi giornalisti e commentatori sportivi che accusavano i vertici rossoneri di commettere un’idiozia ad affidare la panchina, e tutta la gestione tecnico-sportiva, ad un tecnico-dirigente che di calcio italiano ne conosce meno dello zero. In molti chiedevano che il club facesse un passo indietro e permettesse a Pioli di rimanere alla guida della squadra, perché lo aveva meritato sul campo, al massimo si sarebbe potuto pensare alla coabitazione dei due nel prossimo campionato: l’italiano in panchina e il tedesco dietro la scrivania.
Ieri, dopo che è stata ufficializzata la riconferma del tecnico parmigiano fino al 2022, quasi tutti quelli che avevano accusato il Milan di stare sbagliando strategia e di non saper tributare i giusti meriti al proprio tecnico che meritava assolutamente la riconferma, hanno cambiato idea accusando la società di aver sbagliato a far saltare la trattativa. Prima tutti per Pioli e dopo tutti per Rangnick? Ma a prescindere dalle preferenze personali per il primo o per il secondo sarebbe il caso di fare un’attenta riflessione: per una volta nella quale una società decide di cambiare opinione e di premiare il lavoro del proprio allenatore (chiamasi meritocrazia) non c’è nessuno in questo Paese che si complimenti per il coraggio dimostrato?
Certo di errori ne sono stati fatti tanti, dai dissidi interni che hanno coinvolto prima Zvonimir Boban, cacciato dalla società, e in seguito Paolo Maldini, che sembrava dovesse lasciare l’incarico di ds al termine della stagione, per poi passare alle dichiarazioni di Ibrahimovic che in più occasioni ha affermato di non conoscere Rangnick, e quindi anche lui in odore di divorzio, e infine a quelle del presidente Paolo Scaroni che non più di un mese fa aveva fatto trapelare che il prossimo anno la squadra sarebbe stata guidata da un nuovo rivoluzionario allenatore. Ma sbagliando si impara e come si suol dire “solo gli stupidi non cambiano mai opinione”.
“Padre Pioli”, così viene definito in alcune parodie ironiche, è riuscito a compiere diversi miracoli: mettere in pratica uno stile di gioco concreto e divertente, migliorare le prestazioni dei singoli e nello stesso tempo del collettivo, costruire un nuovo spirito di squadra e sopratutto regalare un posto in Europa League per la prossima stagione. Rimane ancora qualche miracolo da compiere come quello di battere la straordinaria Atalanta e vendicare il 5 a 0 dell’andata e sopratutto quello di raggiungere il quinto posto in classifica a fine stagione, un posizionamento che farebbe saltare i tre turni preliminari di coppa.
Intanto ieri Pioli ha realizzato l’ennesimo miracolo: non tanto quello di sconfiggere in trasferta un Sassuolo reduce da un’annata eccellente, bensì quella di aver scacciato l’ombra del maligno Rangnick, il ‘Sacchi 3.0’ di cui i rossoneri non avevano bisogno perché molto probabilmente lo hanno già in casa.
Carlo Saccomando