Alla fine la frattura nella maggioranza sui fondi per la Difesa al 2% del pil si ricompone ma la tensione resta alta
C’è voluto l’intervento di Enrico Letta e di Lorenzo Guerini per abbassare i toni e chiudere, almeno per il momento, lo scontro nella maggioranza sull’aumento delle spese militari al 2% del pil. Il segretario del Partito democratico ha chiamato sia il presidente del Consiglio Mario Draghi che il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte.
Il Movimento 5 stelle voterà quindi oggi al Senato la fiducia al decreto Ucraina. Il voto blindato permette di evitare pericolosi ordini del giorno sulla crescita dei fondi per gli armamenti. Quanto all’approdo al 2% del pil, previsto dagli impegni presi dall’Italia con la Nato nel 2014, l’aumento delle spese sarà graduale. “L’Italia lascerebbe sbigottito il mondo intero se si aprisse ora una Crisi di Governo. Sarebbe crisi dannosa per noi, per tutti noi“, aveva scritto su Twitter Enrico Letta, per avvertire tutti di fare un passo indietro.
“Vi posso assicurare che il M5s continuerà a lavorare non per la crisi di governo ma per una soluzione di buon senso“, commenta Conte, “Nessuno dice di non rispettare gli impegni presi ma di allungare la curva al 2030“. E’ l’intervento del ministro della Difesa Lorenzo Guerini a mettere tutti d’accordo: “Dal 2019 ad oggi abbiamo intrapreso una crescita graduale delle risorse sia sul bilancio ordinario che sugli investimenti, che ci consentirà, se anche le prossime leggi di bilancio lo confermeranno, di raggiungere la media di spesa dei Paesi dell’Ue aderenti alla Nato e poi, entro il 2028, il raggiungimento dell’obiettivo del 2%“.
E’ la gradualità richiesta dal Movimento 5 stelle, che canta vittoria: “Ieri ci davano degli irresponsabili – si legge sull’account Twitter grillino – solo per aver chiesto di far slittare il termine per il raggiungimento del 2% in spese militari oltre il 2024. Oggi il Ministro della Difesa Guerini ha spostato questo obiettivo al 2028. Un buon passo avanti“. Ma gli strascichi restano: i rapporti tra Conte e Draghi sono ai minimi storici, e la diffidenza reciproca nella composita maggioranza che sostiene il governo Draghi non può che aumentare.