“Siamo in un momento decisivo, una crisi che non può essere affrontata da nessun paese da solo”, ha affermato il 27 maggio 2020 la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen presentando a Bruxelles la proposta dell’esecutivo Ue per il lancio del Recovery Fund da 750 miliardi di euro.
L’Italia ha sempre attribuito le cause che penalizzano la propria crescita a fattori per così dire esterni: ora alla locomotiva d’Europa (la Germania) che non corre più, ora alla minore crescita della Cina rispetto agli anni passati; ora all’America che impone i dazi ai prodotti italiani, ora all’Europa che impone l’austerità. Ora la causa è il Coronavirus.
Il Coronavirus (ancora un fattore esterno) dà modo di potere escludere parzialmente gli altri fattori esterni, e fa emergere che le ragioni della bassa crescita sono invece da attribuirsi per lo più a fattori interni: evasione fiscale, macchina di governo (leggi: burocrazia) farraginosa, alto debito pubblico.
Qualcosa sembra muoversi sul fronte della lotta all’evasione fiscale: la fatturazione elettronica ad esempio. Qualcosa sembra che si muoverà sul fronte dello snellimento della burocrazia: un piano contro la “paura di firmare” che blocca le opere pubbliche, in modo da potere impiegare le risorse che l’Europa da tempo ha messo a disposizione dell’Italia e che ora le metterà a disposizione tramite il Recovery Fund (172 mld).
Sul fronte del debito pubblico, invece, le cose peggiorano in maniera davvero drammatica. Il ricorso ai prestiti europei tramite la Bce, il Sure, il Recovery Fund, la Bei, i Btp (e forse il Mes) sembra oggi la soluzione più a portata di mano. Una “soluzione” che oggi è il salvavita (come il prestito al negoziante in difficoltà economiche) ma che domani strangolerà (perché il negoziante dovrà restituire somme sempre più elevate).
Il debito pubblico non sarebbe un problema per lo Stato se lo Stato potesse stampare moneta con cui pagare i suoi debiti (prestando attenzione all’inflazione), ma sarebbe certamente un problema se lo Stato dovesse rivolgersi al mercato: le Agenzie di rating potrebbero valutare il debito pubblico italiano insostenibile e quindi degradare i suoi titoli a livello “spazzatura”, facendo così aumentare lo spread Btp-Bund sul quale si avventerebbero come squali gli speculatori finanziari che chiederebbero interessi più alti.
Se l’Italia non può stampare l’euro in piena autonomia (perché ciò è prerogativa della Bce), potrebbe invece dotarsi di una moneta digitale circolante parallelamente all’euro e solo internamente alla nazione, proprio come avviene tra i privati che utilizzano come mezzo di scambio la criptovaluta bitcoin. La domanda è dunque la seguente: l’Italia potrà dotarsi di una moneta tipo bitcoin? Nel suo documento del 2015 dal titolo “Virtual Currency Schemes. A Further Analysis” la Bce approva lo scambio di bitcoin tra privati. Perché lo Stato italiano non potrebbe adottare la moneta digitale (non euro, non bitcoin) per scambi solo in Italia?
Se l’Italia ricorrerà ai prestiti europei, il laccio che già oggi le si stringe attorno al suo stivale le si stringerà ancora più forte, le impedirà ancora di più di procedere con le riforme, a cominciare da quella fiscale. Oggi tutto è nelle mani della politica fiscale (la politica monetaria della Bce non riesce da tempo a stimolare l’economia nonostante iniezioni ingenti di liquidità), per cui solo riducendo le tasse e le imposte (Irpef e Iva) e iniettando fiducia negli italiani si potranno stimolare i consumi in mancanza di nuovi occupati. Ma con un debito pubblico che salirà al 155% del Pil non sarà proprio possibile ridurre le tasse e riavviare i consumi.
Per evitare di ricorrere ai prestiti europei e potercela fare da sola, l’Italia potrebbe applicare la patrimoniale ai beni immobili dello Stato: si tratterebbe in pratica non già di una vendita ma di una trasformazione di beni in liquidità, in moneta digitale di Stato; tale liquidità verrebbe erogata a famiglie e imprese per spese di prima necessità (generi alimentari, pagamento di bollette e affitti) da soddisfare con moneta digitale.
Per le risorse che la Ue erogherebbe a fondo perduto (circa 81 mld dei 172 mld del Recovery Fund) non c’è motivo per cui l’Italia non debba accettarle. A patto che vengano erogate senza altre condizioni se non per scopi ben definiti (es., investimenti nella digitalizzazione, green economy, e quant’altro stabilito dalla Ue).
Claudio Maria Perfetto