Dati Istat alla mano, pubblicati nel 2018, la depressione sembra essere il disturbo mentale più diffuso, con milioni di persone colpite in Italia. Spesso associata con l’ansia cronica grave, la depressione è dovuta a particolari fattori tra cui la condizione lavorativa, preponderante tra inattivi e disoccupati. Adesso uno studio americano, coordinato dal genetista universitario Andrey Rzhetsky, e pubblicato su “Plos Biology”, che ha analizzato i dati di 151 milioni di persone negli Stati Uniti e 1,4 milioni di persone in Danimarca, rivela un altro fattore scatenante: l’inquinamento atmosferico. Questo agente potrebbe influenzare il cervello umano, ed essere collegato a condizioni di salute mentale, come depressione e disordini bipolari. La ricerca ha comunque tenuto conto di alcune informazioni confondenti come reddito, etnia, e densità di popolazione. Il risultato è stato che, incrociando i dati atmosferici con le richieste di assicurazione sanitaria, il predittore più forte di diagnosi di disturbo bipolare, dopo l’etnia, era la qualità dell’aria.
Non sarà ancora possibile provare il legame di causa ed effetto tra inquinamento e maggiori tassi di schizofrenia, disturbi della personalità e depressione, ma ciò che è emerso è l’esistenza di una forte correlazione tra queste situazioni. Le forme d’inquinamento responsabili di questi gravi disturbi sono il rumore causato dal traffico, che aumenta lo stress e peggiora la qualità del sonno, oltre a micro inquinanti che possono trapassare la barriera emato-encefalica, potenzialmente interessando il cervello. Un’altra possibilità è che l’aumento dell’infiammazione nel corpo, causata dall’inquinamento, inneschi la risposta allo stress del cervello. Infine, anche lo smog determina cambiamenti epigenetici, che vanno a influenzare l’attività del dna, alterando l’equilibrio di sostanze chimiche cerebrali.
I rischi dell’inquinamento sulla salute, a livello fisico e chimico, arrivano anche dall’Organizzazione mondiale della sanità, e riguardano, in questo caso, le microplastiche presenti nell’acqua del rubinetto e in quella contenuta nelle bottiglie, provenienti dalla degradazione di oggetti e tessuti sintetici che entrano nel ciclo dell’acqua potabile, ma anche le stesse bottiglie di plastica e i tappi possono esserne fonte. Nel rapporto “Microplastics in Drinking Water” l’organismo mondiale chiede un’ulteriore valutazione della presenza di queste sostanze nelle acque, e delle loro conseguenze sull’uomo. «In base alle informazioni limitate che abbiamo, le microplastiche nell’acqua potabile non sembrano rappresentare un rischio per la salute ai livelli attuali. Ma abbiamo urgentemente bisogno di saperne di più”. I dati oggi disponibili, secondo il rapporto, sono infatti “estremamente limitati”, “con pochi studi completamente affidabili”, spesso realizzati utilizzando “metodi e strumenti diversi per campionare e analizzare particelle di plastica», dichiara Maria Neira, direttore del Dipartimento di sanità pubblica e ambiente presso l’Oms.
Simona Cocola