Una ricerca della Griffith University in Australia, pubblicata su “Nature Climate Change”, ha riscontrato che, tra gli effetti del riscaldamento del Pianeta, quello dell’innalzamento delle onde del mare riguarderà soprattutto la costa meridionale dell’Australia e quella occidentale del Sud America. Saranno i venti a causare questo cambiamento, dal momento che, diventando sempre più forti, aumenteranno la potenza delle onde. Le conseguenze si abbatteranno su coste e infrastrutture, mettendole a rischi considerevoli. E non è tutto, infatti la direzione delle onde si amplierebbe in simile misura, colpendo anche luoghi attualmente riparati da promontori e da altre formazioni costiere.
I ricercatori si sono basati sui dati degli ultimi 20 anni per giungere alla conclusione che quasi metà delle linee costiere del mondo è “a rischio a causa dell’impatto del cambiamento climatico sulle onde”. Ciò significa, inoltre, che lo sconvolgimento del clima potrebbe influire in futuro sul sollevamento dei livelli del mare. Secondo Joao Morim, della Scuola di ingegneria dell’ateneo e ricercatore presso il Consiglio nazionale delle ricerche australiano (Csiro), su estesi tratti di costa oceanica si può prevedere che l’altezza media annua delle onde, cioè la differenza fra le loro creste e avvallamenti, aumenterà fra il 5% e il 15% rispetto al periodo 1979-2004, con l’effetto di una maggiore potenza nell’infrangersi a riva e sulle infrastrutture. Morim, tuttavia, afferma che il fenomeno si può attenuare intervenendo e limitando il riscaldamento globale.
In Italia, oltre alle onde marine più alte, c’è da tenere presente il “mare d’inferno”, come nominato da Greenpeace nel rapporto presentato già nel 2009, che è diventato il Mediterraneo, in cui si dimostravano i cambiamenti registrati nell’Adriatico, nei mari del sud Italia, e nel Tirreno. “Non è più questione di se o di ma. Ormai siamo dentro il cambiamento climatico e dobbiamo intervenire con urgenza per arrestare una deriva che rischia di essere incontrollata e irreversibile. Occorre immediatamente ridurre, e poi azzerare, le emissioni di gas serra e, nel frattempo, irrobustire i nostri ecosistemi, compreso il mare, per evitarne il collasso”, spiegava dieci anni fa Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite ipotizza un aumento di livello fino a due metri entro il 2100, mentre la Nasa sostiene che il livello dei mari salirà meno di 90 centimetri da qui a fine secolo.
Simona Cocola