Da ieri, lunedì 14, è online il video di Luci d’America, il nuovo brano di Ligabue, prodotto da Federico Nardelli, che anticipa il dodicesimo disco d’inediti in uscita a marzo (Zoo Aperto/F&P Music Hub/Warner Music) e che sarà presentato live in estate durante il tour negli stadi.
Il primo bagliore del dodicesimo album in studio di Luciano Ligabue penetra attraverso una canzone che sembra arrivare da terre lontane, porta echi distanti di canti ancestrali africani, si spande lungo l’orizzonte come l’inizio di un nuovo giorno. E comincia con una richiesta ferma che suona come un’invocazione: “Vieni qui e guarda fuori, fammi un po’ vedere come tu la vedi”. Gli occhi stanchi di guardare il mondo attraverso uno schermo, sfiniti dalle lacrime trattenute a stento, le palpebre appesantite dai cattivi pensieri che scavano rughe sulla fronte e dal sonno che manca sempre a chi crede che i giorni siano corti. Sta lì, un uomo che sembra aver perso la fiducia un po’ sborona di chi un tempo invitava la sua compagna con un altro incipit memorabile (“Vieni qua che ti faccio vedere dov’è il nostro pezzo di mondo”) e che ha bisogno di uno sguardo in prestito per rivedere la luce e la speranza, oltre il fumo che sovrasta le apparenti macerie di un mondo in cui tutto pare disgregazione, odio, disumanità.
Ed è a una donna, che si rivolge. A una creatura dotata naturalmente di un senso della vita che è capace di vedere oltre la vita stessa. E che sorride, sempre per una ragione. Non è l’amore, il bisogno primario dell’uomo che canta e che si racconta. Non ora, non qui. È un sentimento fatto di speranza concreta, di lucida follia, di quel modo tutto femminile di cogliere e sentire la realtà, senza l’illusione di rinchiuderla in un oculus, senza l’esigenza di renderla “aumentata” con elementi artificiali, senza nulla da rinchiudere nell’illusione di un virtuale che è migliore dell’originale. La realtà va vista e vissuta per quello che è. Le donne, lo sanno.
La canzone cerca l’illuminazione, si scalda con un raggio di sole che passa attraverso il finestrino e si accende nel chorus in cui risplendono le luci naturali e quelle artificiali di un mondo distante ma reale, di un viaggio verso lo stupore, la rivelazione, il piacere terreno. In un’epoca in cui per guardare che tempo fa ci chiniamo su un display anziché volgere gli occhi verso l’alto, e uno schermo opaco è il filtro impenetrabile tra libertà di pensiero e verità assoluta, il sole fa ancora il suo dovere, per tutti. Indifferente, o quasi, alla nostra paura e alle nostre speranze.
Tanto vale amarsi, cercarsi, guardare al di là dei limiti in cui abbiamo incorniciato la nostra percezione della realtà. Nutrirsi di pane e fortuna, di vino e coraggio, prima di affrontare l’esperienza unica e irripetibile del viaggio. Nelle immagini della canzone tornano prepotenti, e nient’affatto casuali, due elementi: il vino e l’America di “Lambrusco e Popcorn”, simbolo di un pezzo di mondo da riconquistare. Ma l’America non è più quella di una volta: è terra apparentemente arida in cui la speranza è tatuata sul volto di una ragazza che ha ancora voglia di ballare. E il rosso denso e vivo del presente è un vino fermo, decantato negli anni, maturato con pazienza anche grazie al buio dei tempi cupi e pronto a brillare al sole e rendere brilli sotto la luna, capaci di meravigliarsi ancora e di scoprire che di certi miracoli uno può accorgersi soltanto da sveglio. Con gli occhi bene aperti.