In questo ultimo anno il Coronavirus, oltre ad aver prodotto un numero molto alto di dolorosi lutti, ha provocato una serie di conseguenze sia nel modo di vivere, sia nel modo di pensare ed agire. Si incominciano a sentire tante nuove idee e tante nuove, a volte anche poco sostenibili, impostazioni di vita.
Nel campo poi dell’educazione, dell’istruzione e della didattica, sono quanto mai numerose queste proposte di modifica. Già in altre occasioni ho espresso alcune considerazioni a questo proposito, per dimostrare clamorosi fallimenti, che hanno evidenziato l’impressionante debolezza di un sistema scolastico, che non è in grado di affrontare le esigenze di una nuova realtà.
In modo anche un po’ goffo infatti sono state impostate delle nuove iniziative, ma i risultati, nella migliore delle ipotesi, lasciano perplessi. Non voglio però ora ritornare su questi episodi. Nella riflessione di oggi desidero fare qualche sottolineatura sul significato del concetto di educazione e sul modo con il quale l’educazione vada coniugata nel mondo contemporaneo.
L’obiettivo è quello di dimostrare la necessità di un nuovo patto educativo per una preparazione di tutti, al fine di metterli in grado di affrontare i tempi futuri.
Parlare di educazione significa nella sostanza fare riferimento a quell’attività che è in grado di far acquisire ad un individuo la sua giusta dimensione personale, quindi la conoscenza di sé e della realtà che la circonda, e nello stesso tempo di dare all’individuo stesso la dimensione della sua proiezione equilibrata all’interno della comunità nella quale è inserito.
Due termini sono utili ad esprimere sinteticamente questa definizione: individualizzazione e socializzazione. Il primo esprime infatti l’operazione che serve ad individuare le peculiarità del singolo, il secondo indica invece il rapporto che deve nascere tra il singolo e la società. Tra l’altro aggiungo che non solo l’educazione deve servire a riempire di conoscenze questi due termini, ma deve servire anche a creare il giusto equilibrio tra le aree sottese alle due parole, perché a prima vista potrebbero sembrare in contrapposizione.
L’esame della tendenza più significativa della cultura del nostro tempo mette in evidenza una società, che è portata all’esaltazione non solo dell’uomo in generale, ma, come giustamente è stato anche in modo autorevole, anche e soprattutto all’esaltazione dell’ego, vale a dire dell’io. Di conseguenza l’individuo subisce il fascino della vita isolata e si compiace di questa vita, sentendosi realizzato. È vero che le moderne tecnologie comunicative lo rendono cittadino del mondo, ma in solitudine.
Vi è poi un’altra considerazione da fare: con le moderne tecnologie e con il vorticoso ritmo dell’evoluzione nelle tecniche della comunicazione, i cambiamenti che si verificano richiedono un tempestivo, forse troppo rapido, adeguamento da parte del singolo. I ritmi dell’evoluzione scientifica non sono però in sintonia con l’evoluzione biologica della persona, quindi si genera molto spesso una pericolosa sfasatura tra i ritmi naturali umani e ritmi della tecnica.
Bastano queste due significative sottolineature per evidenziare situazioni nuove, che, riguardando il rapporto individuo e società, coinvolgono il processo di educazione.
Di fronte alle caratteristiche appena evidenziate emerge la necessità di un’azione educativa nuova, efficace, che sia in grado di produrre uno sviluppo equilibrato della persona, senza interventi in contrapposizione alle assai diffuse proposte culturali, che vengono dal mondo della tecnologia. Sarebbe la lotta di don Chisciotte contro i mulini a vento.
È necessario pertanto una strategia, tutta da costruire, che metta chi deve essere educato in condizione di acquisire un modo di lavorare su misura dell’interessato da usare per la sua educazione. Con questo sistema l’educando diventa protagonista ascoltato e incoraggiato del suo processo educativo. Credo che una simile impostazione porterebbe anche un cambiamento di approccio all’attività educativa.
Oggi l’educatore offre subito le risposte ai problemi, forse sarebbe meglio educare, contribuendo alla costruzione delle domande, perché con questo incipit procedurale la partecipazione di chi vuole essere educato è totale, cioè fin dall’inizio del processo. Tale tipo di impostazione può certamente catturare l’interesse dei giovani, che prediligono, per una naturale inclinazione, collegata all’età, porsi interrogativi piuttosto che acquisire risposte confezionate dagli adulti, risposte idonee spesse volte a generare incomprensioni tra generazioni.
Per inciso aggiungo che questi contrasti generazionali sovente finiscono per produrre conflitti nocivi alla società nel suo complesso.
Lo sforzo richiesto da quanto ho appena suggerito, che ha, tra l’altro, radici anche in autorevoli prese di posizioni, non può essere portato avanti dalle sole istituzioni scolastiche, perché non solo non hanno la forza per operare in questa direzione, ma anche perché più soggetti hanno le caratteristiche per essere chiamati ad essere protagonisti, accanto e con la scuola.
Mi riferisco in modo particolare alla famiglia, alle associazioni, alle parrocchie, alle comunità religiose, ma soprattutto ai giovani, che non sono da considerare solo i beneficiari finali di nozioni somministrate, ma sono da prendere in considerazione come portatori di istanze, che contribuiscono a creare una sensibilità nuova per la costruzione di una diversa scala di valori sociale.
Una prova di tutto questo si è avuta prima della pandemia, con le loro prese di posizione in campo ambientale. Ora momentaneamente tutto tace: brace viva sotto la cenere. Nel prossimo articolo si affronterà nei dettagli il patto educativo globale.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative