TORINO. La seconda giornata al Salone del Libro si è aperta con l’omaggio a Primo Levi, nel centenario della nascita, attraverso il Centro Internazionale di Studi Primo Levi, direttamente dalla voce del direttore Fabio Levi, che ha presentato “Dialoghi” (Einaudi editore). Iniziative di questo tipo invitano a diverse riflessioni, e non potevano mancare durante la kermesse torinese.
Così come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato il tema del disprezzo della persona in un messaggio inviato al direttore del Salone Nicola Lagioia, durante l’incontro di questa mattina è stato sottolineato come non sia garantito che una società pacificata rimanga tale per sempre. E a testimonianza di ciò, la vita dell’autore di “Se questo è un uomo” ha rappresentato l’esempio perfetto.
«La funzione del Centro è stata di mediazione: esso funziona per creare modi e luoghi dove i testi di Levi possano raggiungere pubblici diversi, curiosi, studenti, e conoscenti. Il lavoro di Primo Levi riporta testimonianza diretta del suo rapporto con i più giovani. Nel 1959 una tredicenne, in seguito alla mostra sulla deportazione allestita a Torino a Palazzo Carignano, scrisse una lettera a Levi domandandogli se era successo davvero tutto ciò che aveva visto esposto. “Questa è la lettera che attendavamo”, commenterà Levi, e da quel momento inizierà a intervenire nelle scuole, pur con fatica nel tempo, poiché la distanza con gli interlocutori aumentava», ha spiegato Fabio Levi.
Lo scrittore torinese dichiarò che era necessario per un dovere civico che tutti sapessero cosa fosse accaduto nei campi di concentramento. Raccontò di Auschwitz e di molto altro agli studenti italiani nati nel dopoguerra, e ai tedeschi dell’era post-nazista, continuando a farlo anche oggi attraverso i suoi scritti. Come affermato dal direttore del Centro: «L’uomo che perde la qualifica di un uomo è sia una vittima, sia un carnefice. Levi raggiunse una dimensione universale, perché riuscì a prendere le distanze dalla propria esperienza».
Simona Cocola