ROMA. Un team di ricercatori dell’Istituto di microelettronica e microsistemi del Cnr in collaborazione con l’Istituto di nanotecnologia del Cnr ha raggiunto un’importante innovazione nel capo del fotovoltaico ibrido a Perovskite: è stata messa a punto una tecnica d’introduzione nelle celle fotovoltaiche dell’azoto. Il procedimento è di facile applicabilità, a basso costo, atossico e consentirebbe il miglioramento delle performances dei dispositivi, aumentando la vita media delle celle. I risultati sono pubblicati su Advanced Energy Materials.
Le perovskiti ibride sono materiali innovativi sensibili alla luce solare con alte performances di conversione fotone-elettrone. “L’effetto dirompente della tecnologia che utilizza tale materiale ibrido (organico-inorganico), ideata nel 2009 dal professore Tsutomu Miyasaka in Giappone presso l’Università di Yokohama, si evince dalla rapida crescita dell’efficienza di conversione di energia ottenuta grazie ad essa, pari al +9% negli ultimi 8 anni di attività di ricerca. Il record attuale di efficienza certificata, nel palinsesto mondiale, ha raggiunto il 23,7%” – premette Alessandra Alberti,coordinatrice del team di ricercatori – “La prospettiva di una distribuzione capillare di celle solari a Perovskite ad alta efficienza, a basso peso, flessibili e colorate sta alimentando grandi aspettative ed investimenti nel settore pre-industriale per il lancio di forme di energia immediatamente disponibili, trasportabili ed a basso costo. Grande impatto è inoltre previsto nel settore dell’Integrated Building Photovoltaics per il ricoprimento di superfici estese di edifici. A fronte di una tale rivoluzione, le celle solari a Perovskite hanno per il momento una bassa vita media, se confrontate alla tecnologia consolidata delle celle in silicio, a causa della instabilità nel tempo dell’architettura reticolare del materiale foto-assorbente. La mancata stabilità delle prestazioni nel tempo rappresenta, pertanto, il primo limite per una rapida e diffusa affermazione di mercato”.
Da qui entra in gioco la scoperta dei ricercatori del Cnr: “Tecniche avanzate di diagnostica ad ampio spettro dimostrano come si possa finalizzare l’introduzione controllata di molecole di azoto dentro la Perovskite allo scopo di occupare i cosiddetti siti di degrado per stabilizzare l’architettura atomica del materiale.” – Ha infine concluso la Dottoressa Alberti – “Oltre al potere stabilizzante esercitato da forze elettrostatiche in condizioni di funzionamento della cella solare, l’azoto ha anche la capacità di mitigare l’insorgenza di nuovi difetti reticolari, ovvero di imperfezioni nella ‘periodicità’ dell’architettura atomica che causano una riduzione del potere di cattura dei fotoni e una lenta trasformazione del materiale a discapito della vita media delle celle”.
Dall’aggiunta dell’azoto alla perovskite, quindi, risulta un aumento complessivo delle prestazioni dei dispositivi con essa realizzati. Tutto ciò rappresenta un’innovazione dalla doppia valenza: da una parte la stabilizzazione della struttura atomica e dall’altra l’aumento delle prestazioni dei dispositivi ad opera di una piccola e semplice molecola esistente in natura, da sperimentare presto nel mercato delle future tecnologie.