Dico subito che il titolo non è mio. Mi ha colpito un saggio di Raffaele Mantegazza che porta proprio questa dicitura. Mi è piaciuta l’espressione e la uso spesso in questi giorni nei momenti di confronto formativo con i docenti.
Del resto, il riferimento al corpo umano, agli organismi viventi, è sempre stato, da un punto di vista didattico, un’occasione per far riflettere e per dimostrare la validità di certe immagini. Non si deve dimenticare che il ricorso a queste similitudini è – potremmo dire senza rischio di sbagliare – vecchio quanto il mondo. Incominciò Menenio Agrippa e, da quel momento, è stato un susseguirsi di richiami di questo tipo.
Ebbene la scuola è un organismo vivente, ma non sempre è concepita come tale.
L’esame dell’attività didattica, con tutte le sue implicanze, ci permette di individuare subito una sua caratteristica: la scuola è un organismo che deve contribuire all’educazione. Non mi stancherò mai di usare il verbo “contribuire” perché, a differenza di quanto si è spesso affermato, non è l’unico soggetto chiamato ad educare.
Essa si pone accanto alla famiglia e alle altre istituzioni sociali. Se poi è un organismo vuol dire che, nella sua missione, deve avere un ruolo molto preciso: deve garantire lo sviluppo negli allievi della loro dimensione sociale.
In parole semplici: l’allievo deve imparare a crescere da un punto di vista educativo, non da solo ma con la classe che, nel piccolo, rappresenta la società nella quale sarà chiamato a vivere ed a operare.
Molte volte, invece, quando il docente parla alla classe, cioè fa lezione, non ha ben presente questa dimensione. In lui, infatti, prevale l’esigenza di trasmettere nozioni. Del resto, come in altre circostanze ho già affermato, il docente non viene valutato per essere ammesso all’insegnamento in base alle sue capacità di formare, ma in base alle nozioni della materia che dovrà insegnare.
Se la scuola è un organismo educativo, il docente allora deve conoscere la pedagogia, cioè deve avere le capacità per educare.
Desidero a questo punto introdurre anche una considerazione sulla figura del dirigente scolastico. Non ho ancora parlato in queste miei ragionamenti dei dirigenti scolastici non perché non è importante il loro ruolo, ma perché meritano una riflessione articolata e complessa, riflessione che richiede parecchio spazio e che oggi si può cominciare ad introdurre, ma che sarà oggetto anche di successivi approfondimenti.
Ho fatto questa sottolineatura per non fare giudicare il mio impianto espositivo troppo scarno o – cosa ancor peggiore – superficiale e privo di fondamenta.
Innanzi tutto si deve dire che il dirigente scolastico ha un ruolo fondamentale in quell’organismo vivente che è la scuola. Con le sue funzioni infatti è chiamato a contribuire in modo significativo all’attività dell’istituzione che dirige, istituzione da tenere a regime, con tutta una serie di interventi, che trovano i loro presupposti nel rispetto di precisi concetti pedagogici.
Mi piace, definendo il ruolo del dirigente, usare il verbo coordinare, perché non deve imporre con la sua autorità la linea operativa della scuola, ma deve saper legare le varie competenze presenti nell’istituto perché questo possa offrire una proposta educativa al massimo livello e legata alle necessità del territorio.
Aggiungo che il dirigente non è il capo dell’istituto, come un tempo veniva chiamato seguendo la concezione di Giovanni Gentile, che aveva una visione gerarchica della scuola, ma è un primus inter pares, vale a dire è colui che sa usare la sua autorevolezza per coordinare l’attività di tutte le componenti presenti nel suo istituto. Ovviamente tutto questo presuppone una profonda cultura pedagogica.
Tracciate queste linee per definire il dirigente, si scopre che spesso esiste una consistente distanza tra la definizione teorica del dirigente ed il reale funzionario chiamato ad operare concretamente.
Se oggi comunque – ed è bene ancora una volta sottolinearlo – non sempre tutto questo è realizzato, la colpa non è del dirigente scolastico, perché bisogna riconoscere l’impegno di chi è chiamato a ricoprire questo ruolo per tutti gli sforzi che fa per costantemente adeguarsi ed aggiornarsi.
Purtroppo si deve rilevare invece che le strutture ministeriali, a cominciare dalle direzioni generali, sono da considerare colpevoli della mancata o scarsa cultura pedagogica del dirigente scolastico. Si deve infatti rilevare che la preparazione in ambito delle competenze educative del dirigente scolastico non viene mai presa in considerazione dalle competenti autorità.
Giustamente qualche studioso di problemi scolastici ha messo in evidenza come le conoscenze pedagogiche degli aspiranti dirigenti nelle prove di esame non sono considerate e valutate. Una dimostrazione di quanto ho appena affermato: nel concorso che si è svolto tre anni fa per dirigenti scolastici nessuna delle cento domande proposte aveva un riferimento ad argomenti di didattica e di pedagogia.
Tutto ciò sta ad indicare che al ministero premeva e, purtroppo per ora, preme di più avere dei funzionari preparati e puntuali nella compilazione delle carte piuttosto che disporre di responsabili d’istituto in grado di contribuire anche e soprattutto da un punto di vista pedagogico al funzionamento della scuola.
Bisogna allora organizzare le strutture scolastiche inserendo dei dirigenti che, dotati di puntuali conoscenze pedagogiche, siano in grado di contribuire effettivamente alla costruzione ed attuazione di efficaci progetti educativi nel vero senso della parola.
Al ministero tocca dunque trovare le risorse per garantire la formazione pedagogica degli operatori, dirigenti e docenti, e magari incominciare ad adottare gli opportuni provvedimenti al fine di assicurare nelle varie strutture scolastiche la presenza di un pedagogista, che, con il suo contributo scientifico, possa collaborare nei processi educativi.
Del resto anche questo intervento, quando verrà attuato, potrà essere considerato una conferma concreta dell’importanza che, finora riconosciuta solo a parole, deve avere la scuola, anche perché sovente si afferma che il livello di una società si giudica dal livello della scuola che questa società possiede.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative