Secondo un rito consolidato, che nel tempo ha trovato sempre maggior spazio, è ormai prassi dare suggerimenti al Presidente del Consiglio incaricato per proporre l’inserimento nel suo discorso programmatico di qualche particolare argomento. Basta leggere i giornali e guardare le riviste specializzate in qualche disciplina per trovare la conferma di quanto ho appena affermato: tutti hanno qualcosa da proporre, da suggerire o sottolineare.
Lo fanno a vario titolo, nella segreta speranza di trovare poi un riscontro in qualche riga del testo predisposto dal capo del governo. Non desidero, per non finire con il mio scritto nel cassetto delle cose scartate, suggerire nulla, mi piace invece l’occasione per fare una riflessione sullo stato dell’arte della scuola italiana, sperando di essere in sintonia con le affermazioni programmatiche del nuovo esecutivo.
Un dato è certo: sia il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sia il Presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi conoscono le problematiche della scuola e sono convinti della necessità di trovare le soluzioni del caso.
Il Presidente della Repubblica a più riprese, anche negli ultimi mesi, quelli per intenderci dei “banchi con le rotelle” è intervenuto per sottolineare ancora una volta l’importanza dell’educazione dei giovani, consapevole come è che l’azione formativa rappresenta un serio investimento per il presente ed il futuro della nostra società.
Il Presidente del consiglio incaricato Draghi, come del resto ha ben ricordato qualche dirigente del ministero dell’istruzione, ha una particolare sensibilità per quanto riguarda la scuola, perché è convinto assertore di un’attività educativa che sia al passo con i tempi. Vi è una prova significativa di questa sua sensibilità: durante il suo incarico di Governatore della Banca d’Italia sottoscrisse con il ministro dell’Istruzione dell’epoca, Giuseppe Fioroni, un protocollo d’intesa per introdurre nelle scuole, implementando il programma di educazione alla cittadinanza, anche un modulo di preparazione finanziaria. Draghi infatti si rendeva conto della necessità di adeguare i contenuti didattici alle importanti conoscenze che tutti oggi devono avere, almeno nelle linee generali, in campo economico e finanziario.
Certamente chi sta scrivendo il discorso programmatico del governo si pone questo interrogativo. Allora cerco di riflettere, partendo da una sottolineatura. Oggi si parla troppo genericamente di riforma della scuola. Credo invece che sia importante un approfondimento. La riforma infatti può riguardare due ambiti: quello dell’attività didattica da un punto di vista dei contenuti e quello della gestione dell’attività didattica da un punto di vista dell’efficacia organizzativa.
Per quanto riguarda la prima molto è stato fatto e parecchio si sta facendo ancora. Sono state introdotto molte iniziative sperimentali che vanno nella direzione portare una serie di cambiamenti. Certo è che si deve fare ancora molto prima di arrivare alle buone pratiche della didattica. Vi è comunque un rischio da evitare: la burocrazia potrebbe rendere molto rigide le procedure legate alla sperimentazione al punto da tarpare le ali all’innovazione. Non solo, credo vada ripreso e ribadito il concetto di autonomia scolastica, perché proprio nell’autonomia c’è il seme che permette alla scuola di essere viva e vivace.
Come ho avuto occasione di sottolineare (riprendendo due osservazioni di persone attente alle problematiche dell’istruzione, quelle di Silvia e Greta, che mi danno preziosi stimoli di riflessione) l’autonomia non rappresenta solo una espressione priva di contenuti, è invece un termine che definisce un istituto giuridico molto importante, definisce cioè quell’istituto che assegna la possibilità di poter gestire, all’interno di un contesto ben definito, una serie di interventi operativi. Riconoscere alle istituzioni scolastiche l’autonomia significa dare alle stesse la possibilità di agire per rendere l’intervento educativo rispondente alle esigenze di un beneficiario che, vivendo in un determinato territorio deve essere in grado di contribuire alla crescita del territorio stesso.
Molto diverso invece è il discorso sulla riforma della gestione, perché sulla gestione si devono fare molti rilievi e di conseguenze molte riserve.
Il Presidente incaricato Draghi ha fatto delle affermazioni importanti circa i ministri che proporrà al Capo dello Stato, ha detto che saranno tutte personalità competenti di alto livello. Espressione molto positiva, perché in questo modo finalmente potrebbe arrivare (il condizionale è obbligatorio) al dicastero dell’istruzione un ministro che conosca in modo profondo i problemi della scuola e sia in grado di entrare con cognizione di causa nella gestione efficace dei nodi da sciogliere.
Molte volte, anzi quasi sempre, chi arriva si affida alle strutture burocratiche che ai loro vertici sovente hanno dirigenti esperti più di diritto che di questioni pedagogico-educative. Un consistente fattore che produce solo intralcio all’attività di chi opera a livello periferico è l’eccessivo numero di regolamenti, ordinanze, circolari e direttive che invece di semplificare le procedure impongono una massacrante produzione di relazioni, che alla fine poi nessuno mai leggerà.
Guido Bodrato, che fu ministro dell’istruzione negli anni Ottanta del Novecento dice ancora oggi, ricordando la sua esperienza, che uno dei problemi più gravi della gestione della scuola è l’eccessivo numero di provvedimenti, che dal centro vanno alla periferia, complicando la gestione delle strutture invece di renderla più snella.
Un ministro competente e preparato sicuramente sceglierà di dare delle linee guida all’interno delle quali dovranno muoversi gli istituti scolastici, usando l’autonomia di cui sono titolari ed assumendosi le responsabilità del caso. E mi auguro anche che tra le sue competenze ci sia anche la capacità di usare le cesoie per tagliare il superfluo e lasciare solo quanto è indispensabile. In un prossimo scritto riprenderò un problema che mi sta molto a cuore, quello delle piante organiche e quello dell’aggiornamento dei docenti. Con i fondi europei passa un treno, che non si può perdere
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative