È risaputo che la maggior parte dei bambini preferisce mangiare alimenti come patatine fritte e dolci piuttosto che frutta e verdura, che in genere vengono assunte sotto la pressione dei genitori, ma vi sono anche bambini che non gradiscono i cibi, in particolare quelli nuovi o dai sapori diversi.
Quando si tratta di nuovi cibi, ad esempio, molti sono i bambini che si rifiutano di assaggiarli, questa fase di apprendimento alimentare per un bambino è del tutto normale e viene chiamata neofobia alimentare.
Con il termine “neofobia” – dal greco νέος, che significa nuovo e φόβος, ovvero paura – si intende, letteralmente, la paura del nuovo, ma in campo alimentare è il rifiuto del cibo, anche di quello già noto.
Secondo alcuni esperti, da tempo si cerca di capire la neofobia e questa sua forma di rifiuto sia verso alimenti nuovi sia verso alimenti noti ma presentati in modo diverso. Il problema sembrerebbe riguardare soprattutto frutta, verdura e legumi, ma ciò che è certo è che si tratta di un rifiuto spesso immotivato e quasi sempre il neofobico non sa spiegare il motivo del rifiuto.
In genere la neofobia alimentare interessa i bambini di età compresa tra i 2 e i 6 anni e dovrebbe pian piano ridursi e scomparire spontaneamente durante il proseguimento dell’infanzia. Tuttavia vi sono alcuni adulti che sembrano mantenere atteggiamenti neofobici nei confronti di nuovi cibi, con netta preferenza per gli alimenti familiari. Questo dimostrerebbe che prolungare l’atteggiamento neofobico può portare ad avere carenze e restrizioni nutrizionali, condizionando molto il comportamento alimentare, che si ripercuote quindi in modo negativo su gran parte delle scelte alimentari decisive per la salute.
Bisogna quindi far sì che la neofobia non si prolunghi troppo nel tempo e qui entrano in gioco gli adulti.
Secondo alcune ricerche, sembra che la neofobia affondi le sue radici nel profondo dell’animo umano sin dagli albori. Si parla infatti di un atteggiamento di protezione istintiva verso ciò che è nuovo e sconosciuto e, di conseguenza, ritenuto potenzialmente pericoloso.
I bambini passerebbero quindi dal solo latte materno, conosciuto e rassicurante, a cibi e sapori completamenti nuovi; infatti è verso i 2 anni che molti bambini manifestano comportamenti neofobici e selettivi. Dopodiché la neofobia raggiungerebbe il suo apice fino ai 5-6 anni, dove a questo punto il bambino dovrebbe ormai aver appreso i comportamenti alimentari introdotti in famiglia e dovrebbe essere più curioso nei confronti di nuovi alimenti.
Un’altra possibile causa sembra essere il fattore genetico: se i genitori stessi hanno la neofobia alimentare, questo aumenta il rischio che anche il bambino stesso ne soffra.
È quindi importante valutare tutto ciò che può influenzare lo sviluppo di questa problematica, andranno quindi considerati anche altri fattori, come ad esempio: la personalità, la pressione a mangiare, le pratiche genitoriali, le influenze ed il contesto sociale e gli stili di alimentazione.
Gli esperti di neofobia alimentare parlano dell’importanza del ruolo genitoriale, spiegando che in questi specifici casi questi: non devono né forzare né tanto meno assecondare il bambino, bensì mettere il cibo in tavola decidendone la quantità adeguata e lasciare al bambino la decisione del “se e quanto mangiare”.
In genere, quando un bambino non vuole mangiare si tende o a proporgli un cibo in alternativa oppure a riproporgli lo stesso piatto per più giorni finché questo non cede: due gravi errori secondo gli esperti, poiché si tratterebbe di adottare atteggiamenti che possono far prolungare questi comportamenti di rifiuto nel primo caso e di adottare “un’imposizione altamente diseducativa” nel secondo.
Quindi l’unica cosa che sembrerebbe funzionare per superare la neofobia è quella di riproporre i cibi rifiutati come se nulla fosse. Riproposizioni (di norma dalle 10 alle 15 volte) che non dovranno essere continuative e quotidiane, ma di cui si potrebbe variare la ricetta, in modo da avvicinare il bambino ad un nuovo gusto. Solo in caso di neofobia, quindi sempre escludendo eventuali intolleranze o alimenti di non proprio gusto.
Inoltre alcuni esperti sostengono che vi sia un modo per prevenire la neofobia alimentare ed è quello di incoraggiare la madre (durante gravidanza, allattamento e svezzamento) a privilegiare la qualità degli alimenti, introducendo tutta la varietà di legumi, frutta e verdura di stagione. Periodi considerati stimolanti e da sfruttare anche per allenare il senso del gusto nel bambino oltre a quello del tatto e della coordinazione motoria, necessaria per portare il cibo alla bocca.
Di fronte ad un caso di neofobia il fattore più importante per l’adulto è la pazienza, quindi senza rassegnarsi o lasciarsi prendere dalla frustrazione e nemmeno mettendosi sullo stesso piano del bambino.
Altri aspetti importanti: non dovranno esserci premi, punizioni o proibizioni di alcuni cibi, altrimenti il risultato sarà positivo sul momento ma destinato al fallimento a lungo termine; si dovrà andare a lavorare sui vari aspetti alimentari (variare la tipologia, la consistenza, i sapori) e fare attenzione al contesto sociale ed emotivo in cui si vivrà l’esperienza (preferire un ambiente informale e sereno per favorire il momento dell’assaggio, anziché essere circondati da persone in ansiosa attesa che si consumi un determinato alimento).
Ricapitolando, nel caso in cui il bambino a tavola non mangia, fa i capricci, vuole solo un piatto preciso da mangiare e rifiuta di assaggiare nuovi cibi, molto probabilmente si ha a che fare con la neofobia alimentare. Una problematica molto diffusa nei bambini, ma che può essere superata.
Due sono i principali suggerimenti degli esperti: quello di non prendere questa problematica sotto gamba e quello di fare attenzione a non confondere la neofobia con il non gradimento di un singolo cibo. Questo perché è del tutto normale che un alimento possa non piacere, ma la neofobia è il rifiuto di una categoria di alimenti e questa va affrontata con determinazione, anche perché il suo perdurare sarà un ostacolo per una sana ed equilibrata alimentazione.
Nei casi in cui la neofobia persiste nel tempo si potrà lavorare direttamente con il bambino, magari coinvolgendolo nel fare la spesa o in attività in cucina, come lavare le verdure giocando con l’acqua oppure infarinare ed impastare. Ma anche l’aspetto e la quantità del cibo dei piatti è importante, in questi casi si potrebbero abbinare ingredienti di colore diverso e, soprattutto, non esagerare nella quantità, perché in questi casi il bambino si potrebbe solo spaventare.
L’accesso ad una varietà di alimenti dovrebbe essere incoraggiata sin dalla primissima infanzia, dove non si sospettino allergie alimentari e dietro i suggerimenti del proprio medico pediatra di fiducia.
Valeria Glaray