Il libro dei record ormai fa fatica a stargli dietro, tocca stampare pagine nuove ogni volta che scende sul parquet. Ma James LeBron, da abile sceneggiatore come i tanti che riposano all’ombra della collina di Hollywood, riesce sempre a trovare nuove sfide, a fissare nuovi obiettivi. E Miami, da quando è andato via nel 2014, gli era sempre rimasta indigesta: in maglia Cavaliers infatti James non aveva mai vinto all’American Airlines Arena (0-4 il record personale, 0-7 quello raccolto dalle sue squadre contando anche le gare in cui non c’era).
Questa volta però è bastato un quarto di gioco per capire che le cose sarebbero andate in maniera diversa: 19 punti segnati tirando 8/10 dal campo, con i Lakers sul +13 al primo intervallo. Da quel momento in poi, i giallo-viola non si sono più voltati indietro, con James che ha continuato ad accumulare canestri in una partita chiusa con 51 punti, otto rimbalzi, tre assist, due rubate, 19/31 al tiro, 6/8 dall’arco, +20 di plus/minus e si potrebbe andare avanti ancora per molto. Non una partita come le altre, nonostante LeBron faccia finta che tutto sia normale: “Il mio coinvolgimento è sempre lo stesso, è quello di pensare a fare canestro. Quella è la mia confort zone. È sempre speciale tornare a giocare a Miami, ritornare e incrociare così tante facce amiche: alle volte abbiamo vissuto momenti un po’ tristi, nella maggior parte dei casi invece le cose sono andate alla grande. Ho sempre rispettato e amato i tifosi di questa città, in particolare tutte le persone che lavorano per la franchigia”.
Ad amarlo adesso sono anche i suoi compagni di squadra, che ancora fanno fatica a credere sia capace di imprese del genere: “È sceso in campo come solo i più grandi del Gioco sanno fare, ha chiuso da solo i conti”, sottolinea Lonzo Ball, che in campo ci resta 22 minuti dopo essere partito titolare, ma che diventa inevitabilmente comparsa come tutti gli altri di fronte a un gigante come LeBron. “Creato in laboratorio”, aggiunge Josh Hart via Twitter non appena si ritrova con lo smartphone in mano. In effetti a quasi 34 anni e con tutti quei chilometri NBA percorsi, è difficile credere che sia come tutti gli altri.