La Gran Madre di Dio di Torino, si trova davanti al Po a ridosso dell’imbocco su ponte Vittorio Emanuele I che porta a sua volta nella maestosa piazza Vittorio. Salendo sui gradini del sagrato si ha una splendida panoramica da una posizione sopraelevata rispetto al manto stradale, su tutta la città. Una vista che mi è sempre piaciuta perché, da quella posizione, osservo il Po che scorre, le persone e le auto che si muovono frenetiche tra il ponte e la piazza. E poi adoro guardare di spalle le due statue che creano suggestive geometrie e giochi prospettici con la Mole la cui sagoma sbuca dagli eleganti palazzi.
La prima caratteristica che si osserva e che colpisce della Gran Madre di Dio è la sua forma che riprende quella del Pantheon di Roma e sembra antichissima. In realtà la Gran Madre di Torino non è poi così antica. La chiesa fu costruita tra il 1827 e il 1831 su impulso del Consiglio comunale cittadino per festeggiare il ritorno del sovrano Vittorio Emanuele I.
Ferdinando Monsignore, che curò la realizzazione del progetto della chiesa, volle imitare proprio il Pantheon di Roma con uno stile neoclassico. Le due statue poste ai lati della Gran Madre scolpite dal carrarese Carlo Chelli, simboleggiano la Religione e la Fede. Le sculture che danno l’impressione che si stiano godendo il panorama urbano davanti a loro, hanno da sempre attirato la curiosità di molte persone. Un interesse non solo storico ed artistico ma anche di stampo occulto. Sono molti infatti i cultori dell’esoterismo che hanno voluto ricondurre alla Gran Madre e alle sue statue significati misteriosi.
C’è chi sostiene che la chiesa sia stata costruita volutamente sullo stesso terreno dove, molti secoli prima, si celebrava il culto della dea Iside chiamata anche Gran Madre.Secondo un’altra versione nello stesso luogo sorgeva un antico luogo di sepoltura. Scrive William Facchinetti Kerdudo nella sua guida “Torino -misteri e itinerari insoliti tra realtà e leggenda” edita da Polaris, che sul timpano del tempio si trova la scritta in latino:
Ossia: La nobiltà (o la città) e il popolo di Torino per il ritorno del re.
Secondo un’interpretazione esoterica l’Ordo Taurinus potrebbe essere interpretato come il saluto ad un ordine taurino cioè una popolazione di origine celtica che abitava in queste zone.
La Fede solleva un calice e tiene una bibbia in grembo.
La Religione tiene una croce.
C’è chi sostiene che la Fede nasconda un messaggio segreto: indicherebbe il luogo dove si nasconde il Santo Graal.
La prima sostiene che il sacro calice si trova ai piedi della statua sepolto non si sa bene dove.
La seconda, più articolata e anche più famosa, afferma che lo sguardo della statua suggerisce la direzione da seguire per trovare il Graal. La Fede è però stata scolpita senza le pupille quindi determinare esattamente un punto risulta impossibile.
Leggende e ipotesi a parte, resta il fatto che la Gran Madre di Dio è un luogo di Torino che merita assolutamente una visita ed è uno dei simboli cittadini più amati e conosciuti. Personalmente consiglio una visita alla Gran Madre verso sera, quando le luci su Torino si attenuano e i lampioni illuminano le atmosfere notturne torinesi.
Dalla Gran Madre per arrivare a piazza Vittorio si deve attraversare il ponte Vittorio Emanuele I che, come ogni angolo di Torino, ha una storia da raccontare. Prima del 1810 esisteva già un ponte, detto di Porta Po, che per quattro secoli era stato l’unico attraversamento del fiume esistente a Torino. Esso era malmesso, costruito in pietra e con rinforzi in legno a causa degli ingenti danni nel 1706 durante una piena del Po. Il ponte che vediamo oggi fu fatto costruire da Napoleone Bonaparte per regalare a Torino, in un punto così strategico, un passaggio nuovo, con materiali diversi e più resistenti. Quando Napoleone fu esiliato a Sant’Elena i lavori del ponte non erano ancora terminati.
Le vicende storiche vollero che, nello stesso periodo, Vittorio Emanuele I rientrò trionfante a Torino. La volontà dei torinesi fu di voler abbattere il ponte perché era di costruzione francese ma il sovrano disse: “Il ponte è fatto, che rimanga! È bello e ci è utile”. Poi lo attraversò esclamando: “Io calpesto ciò che i francesi hanno fatto”. Durante la costruzione del ponte, nel 1810, all’interno del pilone centrale fu murata una cassa di piombo che conteneva, a sua volta, una cassetta di legno di cedro che custodiva un piccolo tesoro: 88 medaglie e monete d’oro. Da qui nacque la leggenda del tesoro nascosto nel ponte. Il fatto non deve stupire più di tanto perché era una prassi molto in uso all’epoca.