Da qualche tempo in rete e soprattutto sui social network, ma anche al di fuori di essi, si parla del fenomeno del “Quiet Quitting”, ma di cosa si tratta? Cominciamo col dire che significa lavorare, ma non troppo, senza stressarsi. Dopodiché, vi è da sapere che non se ne parla solo nel nostro Paese, ma anche in Paesi considerati più produttivi, come negli USA e in Cina.
Molte persone si chiedono se quanto sta circolando sul web diventerà o meno un modo di vivere a tutti gli effetti, dicendo così addio ai cosiddetti “stakanovisti”, ovvero coloro che trascorrono gran parte del proprio tempo lavorando a ritmi serrati.
Questo anche perché, secondo gli esperti, considerando la nuova generazione non sembra esserci l’intenzione di voler privarsi del proprio, nonché prezioso, tempo libero per un lavoro (spesso) precario. Il quale porterebbe sicuramente ad una buona dose di stress.
Ecco perché sui social si diffonde sempre di più il fenomeno del “Quiet Quitting”, dove si predilige la salute mentale allo stress lavorativo e si mette al primo posto la vita. Molti si soffermano ad un pensiero ben chiaro: “ma è così sbagliato questo modo di vedere il lavoro al giorno d’oggi, cioè lavorare il necessario per vivere e senza arrecare troppo stress alla propria vita?”
Come per ogni altra questione, anche qui vi sono i due lati della medaglia: se da un lato vi è chi sostiene che questa nuova generazione sia “una manica di pigri nullafacenti”, sottolineando i duri sforzi e la fatica che si sono fatti finora per mantenersi con dignità ed umiltà e spendendo molte energie per la propria carriera, dall’altro lato vi è chi sostiene che sia un ottimo approccio nei confronti del lavoro, specie per la salvaguardia del proprio benessere psicofisico.
Per la nuova generazione, mettere tutto l’impegno possibile nel lavoro non ripaga. Si sostiene che ottenere risultati e promozioni sia ormai complicato e, spesso, sembra non valerne la pena. Questo nuovo fenomeno, sostengono gli esperti, pare sia dovuto alla pandemia da Covid-19 appena vissuta, che da un lato pare abbia tolto il piacere della socializzazione e dall’altra ci abbia messi di fronte alla nostra breve e fragile esistenza, obbligandoci a lavorare per lo più in smart working.
Questo nuovo fenomeno dilaga sul web e a farla partire sembra sia stata, per l’appunto, la nuova generazione, che si esprime in totale libertà e senza peli sulla lingua con il mondo digitale mediante app come TikTok.
Che questa sia solo una fase oppure un nuovo approccio al mondo del lavoro? È quindi legittimo, ad oggi, prenderlo in considerazione per la vita lavorativa di ciascuno di noi? Ciò che è importante ricordare, a prescindere, è che il valore di ogni persona non è definito dal lavoro che si svolge.
Il nuovo trend sembra diventato popolare su TikTok – la piattaforma di intrattenimento social più utilizzata dalla nuova generazione – grazie a Zaid Khan, un ingegnere di 24 anni di New York.
Zaid ha reso popolare questa tendenza realizzando un video a luglio, diventato subito virale, per rispondere alla cosiddetta “cultura dell’hustle”, che fa credere ai giovani che “lavorare 7 giorni su 7, 24 ore su 24, sia bello e normale”.
Nel suo video egli risponde in questo modo: “Si continua a svolgere i propri compiti, ma non si aderisce più alla cultura della competizione verso se stessi e gli altri, secondo la quale il lavoro deve essere la nostra vita. […] Il tuo valore come persona non è definito dal tuo lavoro!”. In molti hanno gradito questo nuovo approccio al mondo del lavoro, tanto da sostenerlo dichiarandone il proprio entusiasmo.
Secondo alcuni recenti studi, tra cui quanto riporta il Report “State of the Global Workplace 2022” di Gallup (società americana di analisi e consulenza con sede a Washington), risulterebbe che solo il 21% degli impiegati è davvero coinvolto nelle proprie mansioni, mentre il 33% si considera in una condizione di crescita e di benessere. La maggior parte degli individui, però, non si sente fiducioso riguardo al futuro e non pensa che il proprio lavoro abbia uno scopo ed un significato profondo.
Gli esperti affermano che il Quiet Quitting è una nuova tendenza che interessa il mondo del lavoro, e soprattutto la nuova generazione. I dati ottenuti da queste ricerche fanno riflettere su quanto spesso non ci sia un equilibrio tra progetti di vita e aspirazioni delle persone ed il percorso di carriera. Per tale motivo, il Quiet Quitting sembrerebbe una risposta, per molti, alquanto logica.
Ciò che è risaputo, ad oggi, è che molti individui si pongono vari quesiti in merito, ad esempio: “Se il proprio benessere psicologico non venisse più sacrificato in favore di una sicurezza economica?”, oppure “Se disimpegnarsi dal lavoro, alla lunga, conducesse a sfinimento, noia e alla perdita di senso e, quindi, all’infelicità?”, o ancora “Se il disimpegno caratterizzante il Quiet Quitting fosse un sintomo diffuso di Burnout (tra i cui campanelli d’allarme che vi troviamo sono distacco mentale, cinismo nei confronti del lavoro e sentimenti di esaurimento)?”.
Ciò che sembra essersi capito, soprattutto grazie alla pandemia, è che non porta a nulla sacrificare i weekend o inoltrare l’orario di lavoro terminate le proprie ore giornaliere. Ciò che occorre è uno stile di vita più sano e meno tossico e, soprattutto, non è una priorità migliorare le sorti dell’azienda per cui si lavora, in particolare se a discapito della propria salute.
“Quiet Quitting”, ovvero lavorare ma non troppo, questo è ciò che circola negli ultimi tempi, soprattutto sul web.
Una nuova moda di vivere il mondo del lavoro? Può darsi, lo si scoprirà in futuro. Per ora si tratta di un fenomeno che spopola, in particolare fra i giovani della nuova generazione.
Il fenomeno del Quiet Quitting si sta diffondendo grazie ad un giovane ingegnere newyorkese di 24 anni, che ha realizzato un video nel mese di luglio di quest’anno, in risposta alla “cultura dell’hustle”, che fa credere ai giovani che lavorare 7 giorni su 7, 24 ore su 24, sia bello e normale.
Si tratta di un fenomeno che si espande, dagli Usa al nostro Paese, alla Cina ed in molti altri e che spiega l’inutilità e lo stress mentale che arreca all’individuo quando passa la sua vita mettendo la carriera al primo posto, faticando a raggiungere i propri risultati e le promozioni, che ad oggi sembrano essere sempre più irraggiungibili per la maggior parte degli individui.
La causa di questo trend oggi in voga sembra essere stata la pandemia da Covid-19, che da una parte ci avrebbe tolto il piacere di socializzare e che dall’altra ci avrebbe messi di fronte alla realtà della nostra delicata e breve esistenza, obbligando molti a sperimentare i benefici dello smart working.
Molto negli ultimi anni è cambiato nel mondo, in questo anche la visione del mondo del lavoro. Quindi vedremo se questo nuovo trend si farà sempre più strada e se l’uomo metterà in prima linea il suo benessere psicofisico e se riuscirà a trovare un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata.
Valeria Glaray