Fondamentalmente un colloquio di lavoro dovrebbe concentrarsi su un solo elemento: il lavoro. Eppure succede che i datori di lavoro o i responsabili delle risorse umane, durante il colloquio, non si limitino alle sole domande che servono per valutare se la persona che si ha di fronte risulti idonea al posto che dovrebbe andare a ricoprire, bensì questi estendono il raggio di domande alla sfera privata e personale del candidato. E, in particolare, questo accade con il genere femminile.
Si continua a parlare di pari opportunità e di incentivare l’occupazione femminile nel mondo del lavoro, ma moltissime sono le donne che subiscono discriminazioni, a partire dai colloqui. Ormai, infatti, risulterebbe una domanda standard chiedere ad una candidata se ha messo su famiglia o se è nei suoi progetti futuri. E questo è ormai sinonimo di “ostacolo alla carriera”.
Secondo alcuni esperti di diritto del lavoro, porre domande ad un candidato che riguardano la sua sfera personale non sono necessarie ai fini del lavoro stesso e non andrebbero mai poste, in quanto queste sono classificate come domande inopportune, nonché discriminatorie.
Forse molti non ne sono a conoscenza, ma esiste un Codice delle pari opportunità, in vigore dal 2006, che vieta «qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione […] a tutti i livelli della gerarchia professionale».
Inoltre, tale Codice vieta che vi siano discriminazioni «attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive» e «attraverso meccanismi di selezione che prevedano come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso» (salvo eccezioni per cui l’appartenenza ad uno o all’altro sesso è essenziale alla natura del lavoro o della prestazione).
Gli esperti hanno individuato alcune domande ritenute illegali che verrebbero fatte, quasi sempre, ad una donna durante un colloquio di lavoro. Tra queste, le domande immancabili risultano essere:
“È sposata o ha intenzione di sposarsi?”
Una domanda che sembra interessare per capire il tempo che la candidata potrà dedicare al lavoro, in particolare nel caso in cui siano previsti frequenti spostamenti (in genere ritenuti più “adatti” ai single).
In questi casi gli esperti suggeriscono di far gentilmente notare che tali domande non andrebbero fatte perché discriminatorie; inoltre, se nel vero, si potrebbe giocare d’anticipo dicendo che si è disponibili a trasferte.
“Ha figli o pensa di averne? E come pensa di gestirli?”
Altra domanda discriminatoria, in quanto avere dei figli o meno è una decisione esclusiva della coppia e di nessun altro, così come la loro gestazione.
Si può chiedere se tale domanda è rilevante ai fini del lavoro e si può, inoltre, spostare la discussione dalla sfera personale a quella prettamente lavorativa affermando che si sta puntando sulla carriera e che si farà tutto il necessario in quest’ottica.
Secondo alcuni avvocati civilisti ed esperti di diritto del lavoro, si tratta di domande che non andrebbero fatte ai colloqui, perché riguardano la sfera privata e personale. Sono domande che potrebbero essere poste anche agli uomini candidati, ma restano comunque domande discriminatorie.
Inoltre, alcuni ricercatori hanno evidenziato il differente impatto della risposta a seconda del sesso di chi risponde: se a dichiarare di volersi sposare e/o avere figli è una donna, questa viene percepita come una lavoratrice poco affidabile, in quanto potrebbe venir meno agli impegni lavorativi a causa di impegni familiari, gravidanza e maternità. Ma se, al contrario, a dichiarare quanto appena detto è un uomo, questo verrà visto come una persona seria, responsabile ed affidabile che cercherà di offrire la migliore stabilità lavorativa.
In un mondo corretto le persone vengono scelte per ricoprire un ruolo lavorativo in base alle proprie capacità e competenze e l’assunzione di una donna che ha o che in futuro vorrà dei figli non dovrebbe sortire alcun effetto. Ma per il nostro Paese, ad oggi, non è così.
Secondo molti imprenditori e datori di lavoro chiedere ad una candidata se vuole avere dei figli è una domanda “necessaria”, poiché permetterebbe loro di scegliere la persona più idonea su cui investire per fare programmi lavorativi a lungo termine, senza dover poi fare i conti con una maternità, la quale apporterebbe un costo elevato per l’azienda.
Inoltre, per garantire una continuità nel servizio e nel lavoro, il datore di lavoro dovrà affiancare una persona alla futura mamma, in modo che possa sostituirla durante la maternità. Quindi, in questo caso, il datore si troverà ad erogare lo stipendio alla futura mamma e, in più, lo stipendio di chi la andrà a sostituire. Senza considerare quando la futura mamma rientrerà a lavoro, perché ci si potrebbe poi aspettare un venir meno degli impegni lavorativi a causa di imprevisti e problemi familiari.
Queste sono solo alcune delle espressioni rilasciate da alcuni imprenditori, sia uomini che donne. In altre parole, la maggior parte degli imprenditori preferirebbe assumere una persona che non vuole mettere su famiglia, sia per un fattore economico sia perché questa verrebbe considerata più responsabile e disponibile nei confronti del proprio lavoro.
Come dovrebbero comportarsi le candidate in caso di domande discriminatorie ai colloqui di lavoro? Qui le opinioni sono contrastanti: vi è chi sostiene che ai colloqui si debba essere sempre onesti e sinceri e chi, al contrario, sostiene che è necessario mentire per riuscire ad ottenere il lavoro.
Il futuro è incerto ed imprevedibile: può essere il caso di una donna che non ottiene il posto di lavoro perché risponde che vuole avere dei figli, poi questi arrivano a distanza di molti anni oppure, per varie motivazioni, non arrivano proprio; così come può essere il caso di una donna che viene assunta perché, al contrario, non vuole o non può avere figli, ma poi questi arrivano e si trova lei stessa ad aver cambiato idea.
A volte una donna aspetta di avere un lavoro ed una certa stabilità economica per poter mettere su famiglia, questo è anche il motivo per cui molte donne aspettano il momento più “propizio” prima di avere figli. Purtroppo però, in questi casi, la maggior parte di esse rischia di ritrovarsi al centro di commenti e discussioni, poiché secondo molti viene considerata una persona che ha agito di strategia: “Ha atteso di firmare un contratto di lavoro per poi farsi ingravidare ed essere mantenuta”.
Quindi si passerebbe dalle domande discriminatorie ai colloqui di lavoro ad un ambiente ostile, in cui si incrinerebbero anche i rapporti di lavoro tra colleghi; ma se il “volere” o “avere dei figli” diventa un prerequisito fondamentale per non ottenere un lavoro, allora si ha un bel problema.
Ad ogni modo, i professionisti rispondono che la maternità è un diritto e se il datore di lavoro pone questo genere di domande ci si troverà ad un bivio: o si risponderà che non è nelle intenzioni del momento mettere su famiglia oppure gli si ricorderà che, secondo la legge, si tratta di quesiti illegali. In quest’ultimo caso ci si potrebbe giocare il posto di lavoro, ma si uscirà dall’incontro avendo difeso i propri diritti.
Quando un candidato ha un colloquio di lavoro dovrebbe soffermarsi a parlare delle proprie capacità, delle proprie competenze e del perché sarebbe la persona ideale per ricoprire il ruolo per cui è stato contattato.
Purtroppo, però, il candidato finisce con il sentirsi porre domande che non solo risultano inappropriate, ma che sono anche discriminanti.
Ed ecco che ci si imbatte in un tema, e problema, ancora attuale: le domande discriminatorie ai colloqui di lavoro. Infatti, una domanda che sembra ormai essere diventata prassi ai colloqui, in particolare alle candidate di sesso femminile, riguarda l’avere figli o l’intenzione di mettere su famiglia.
Queste domande, talvolta, vengono poste anche agli uomini, ma le reazioni alle risposte risultano essere molto differenti: mentre l’uomo viene considerato come una persona responsabile e matura, la donna viene invece ritenuta poco affidabile e su cui sarebbe un errore ed uno spreco di tempo su cui investire.
A prescindere che queste domande siano rivolte a candidati uomini o donne, restano comunque domande non professionali e discriminatorie. Inoltre sono illegali, in quanto violano le norme di legge contenute nel Codice delle pari opportunità (2006).
Valeria Glaray