Le prime testimonianze scritte risalgono ad almeno sedici secoli prima della nascita di Cristo. In pratica, ai tempi dei Sumeri che utilizzavano il tartufo mischiandolo ad altri vegetali quali orzo, ceci, lenticchie e senape. Gli antichi ateniesi lo adoravano, tanto che Plutarco, Giovenali, Plinio e Marziale, solo per citarne alcuni, diedero vita a lunghe e accese diatribe sulla sua origine. Ma non solo. I tartufi che deliziavano i palati dei patrizi romani erano scadenti solo nella qualità, dato che il loro prezzo era salatissimo.
A dire il vero, il tartufo venne abbandonato come cibo per tutto il Medioevo, mentre nel Rinascimento tornò in auge. Sulle mense dei signori francesi il tartufo nero pregiato apparve tra il XIV ed il XV secolo, mentre in Italia in quel periodo si stava affermando il tartufo bianco. Nel Settecento, il tartufo piemontese era considerato presso tutte le Corti europee una prelibatezza.
In un passato neppur troppo remoto, il mestiere del tartufaio era praticato quasi esclusivamente da contadini, i quali, in autunno, finito il tempo della vendemmia, si addentravano nel bosco per cercare tartufi e arrotondare i guadagni. Ma nel corso degli anni anche le consuetudini di questo mestiere si sono modificate. Basti pensare che, in ragione dell’estrema segretezza con la quale si tramandano le tartufaie, spesso in passato si soleva andare a tartufi prevalentemente di notte.
Lontano da altri occhi il tartufaio in compagnia del suo cane poteva aggirarsi indisturbato alla ricerca delle zone migliori per la raccolta. Protetti dall’oscurità gli scavatori potevano entrare nelle loro tartufaie personali per far propria tutta la produzione di questi appezzamenti.
Oggi le cose sono decisamente cambiate e la legislazione (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo del 16 dicembre 1985 n. 752) parla chiaro: per evitare di recare danno alla delicata natura del fungo ipogeo, per tutte le attività di ricerca e raccolta del tartufo è necessario ottenere l’apposito tesserino di idoneità. Accanto al tartufaio professionista, pullulano anche i “cercatori di tartufi della domenica”. Un vero e proprio esercito. Nonostante siano in tanti in tutta Italia ormai ad essere diventati tartufai, il mestiere continua ad essere ammantato dal fascino del mistero che circonda la sua arte.
Per quanto riguarda le regole da rispettare, l’attività di ricerca e raccolta dei tartufi può essere esercitata solo da maggiori di 14 anni. Per ottenere il tesserino bisogna sostenere e superare un esame specifico. Nonostante il tesserino sia valido su tutto il territorio nazionale, ogni regione stabilisce diverse regole per il rilascio del documento, e diventa quindi necessario cercare le informazioni specifiche per la propria regione di residenza.
I costi da sostenere per diventare tartufai variano da regione a regione, così come gli anni di validità del tesserino, che generalmente dura 10 anni e ha bisogno di una vidimazione annuale. Oltre al pagamento delle due marche da bollo da 16 euro obbligatorie, è necessario versare una quota alla tesoreria regionale che varia a seconda del territorio di competenza.
Sempre a proposito di legge, essa prevede l’uso obbligatorio di un cane addestrato allo scopo. Non ci sono invece specifiche prescrizioni riguardo la razza, ed ogni tartufaio è libero di utilizzare il cane che preferisce. Ciò non toglie che alcune razze siano più utilizzate di altre, sono più facilmente addestrabili, e più portate a questo “mestiere” (come sempre con le dovute eccezioni). D’altro canto, tenete presente che il vero protagonista non è l’uomo, ma il suo amico fidato che, da sempre, è l’attore principale della raccolta e forma con il proprio conduttore un binomio inscindibile.
Piero Abrate