BRESCIA. Era diventata il simbolo della liberazione la cucciola Vita, il cane di razza Beagle portato via, insieme ad altri, dall’allevamento di Green Hill di Montichiari, in provincia di Brescia, e morto qualche giorno fa. Accadeva nel 2012: Vita era destinata, come altri, alla vivisezione, motivo per cui gli animali erano allevati, cavie di test per farmaci, prodotti chimici, pesticidi, detersivi, e altre sostanze.
Il 28 aprile di sette anni fa un gruppo di attivisti liberò i cani. La vicenda, però, era iniziata molto tempo prima, attraverso manifestazioni e proteste delle associazioni antivivisezioniste che chiedevano la chiusura di Green Hill. Nel 2012, poi, la Procura della Repubblica di Brescia affidò la custodia giudiziaria di tutti i Beagle di Green Hill alla Lav (Lega antivivisezione) e a Legambiente.
Oltre 2mila e 600 cani, tra adulti e cuccioli, furono salvati e affidati a famiglie, portando il caso a diventare un’operazione senza precedenti per numero di animali da laboratorio liberati, e condannando i gestori e il veterinario della struttura nel 2017 per maltrattamento e uccisione di animali.
“Se n’è andata per malattia dopo avere trascorso anni meravigliosi con la sua famiglia umana. La sua foto strepitosa è una delle più belle e significative della liberazione, passata per le agenzie giornalistiche di tutto il mondo”, si legge dal post della Leal su Facebook. Sera Elena Mancin, la padrona di Vita, il cui nome era legato proprio a una rinascita fuori dall’allevamento di Montichiari, ricorda che dopo i primi anni l’animale cominciò a soffrire di alcune crisi epilettiche probabilmente legate ai maltrattamenti ricevuti all’interno della struttura.