Durante la fase di esame, a partire dal novembre 1961, del progetto Fouchet, le istituzioni europee sono anche impegnate nella predisposizione di un piano di politica europea per l’agricoltura. Si tratta di una discussione molto importante per la storia dei primi tempi dell’Europa, perché l’ argomento è molto caro alla Francia, in quanto l’agricoltura è un settore che presenta molte criticità. Nasce proprio in questo periodo e si sviluppa la Politica Agricola Comunitaria (PAC). L’obiettivo fondamentale del progetto è duplice: favorire prima di tutto all’interno dei sei stati la circolazione dei prodotti agricoli propri ed una conseguente positiva remunerazione dei produttori agricoli, bloccare in secondo luogo fuori dal territorio CEE i prodotti degli stati extracomunitari, imponendo pesanti dazi, tali da eliminare l’interesse al loro acquisto. Possono essere considerati tre gli elementi essenziali di questa politica:
La politica agricola comunitaria (PAC) prevede anche, accanto agli interventi sui prezzi, iniziative finanziate per migliorare l’attività agricola. A questo proposito si possono ricordare i contributi per il miglioramento delle aziende agricole, l’incentivazione ad abbandonare l’attività agricola per quegli imprenditori che gestiscono settori non più competitivi, premi per le aziende agricole, che passano da attività non più proficue ad attività più proficue, formazione professionale per incrementare la preparazione operativa. Tutte queste iniziative programmatiche richiedono forti investimenti della Comunità e producono certamente consistenti benefici per le nazioni interessate. Tra questi stati va certamente collocata la Francia che compie in questo periodo forti pressioni per garantire l’approvazione della politica agricola europea. Il governo del presidente De Gaulle fa sentire negli ultimi mesi del 1961 tutto il suo peso all’interno della Commissione ed ottiene i risultati sperati.
Nel mese di gennaio del 1962, a due mesi dalla presentazione del primo progetto di organizzazione comunitaria, elaborato da Fouchet, che chiameremo Fouchet I , il quale presenta le caratteristiche di un elaborato idoneo ad essere considerato valido per realizzare l’Europa degli Stati, De Gaulle presenta una nuova versione del precitato progetto. Questo nuovo progetto va ad inficiare il lavoro originario di Fouchet, rendendo molto più debole la nuova struttura dell’Europa. Scompare l’Assemblea con poteri decisionali e vengono previste invece tre istituzioni, chiamate commissioni, i cui componenti sono di nomina dei governi nazionali con la possibilità di lavorare in tre ambiti: quello politico, quello della difesa e quello culturale. Appare subito evidente che la nuova proposta elimina tutti quegli elementi, che in qualche modo possono garantire la creazione di una realtà sovranazionale ed appare altresì evidente che il potere effettivo, quello decisionale cioè, resta tutto nelle mani dei governi dei singoli stati.
Per capire il rapido cambiamento di opinione di De Gaulle, che passa molto velocemente dal progetto Fouchet I al progetto Fouchet II, è importante tenere conto di qualche evento, che in questo periodo matura a livello europeo. La Gran Bretagna, che fino a questo momento ha tenuto un atteggiamento di disinteresse formale, presenta ufficialmente la sua candidatura per l’ingresso nella Comunità europea. De Gaulle sceglie, di fronte a questo passo ufficiale inglese, allora di modificare il progetto per costringere la Gran Bretagna a partecipare ad una comunità sostanzialmente priva da un punto di vista istituzionale, di poteri effettivi. Non solo si prepara anche ad esprimere il suo voto contrario all’ingresso del Regno Unito alla CEE. Il no di De Gaulle ha un doppio significato. Oltre infatti ad essere un voto contrario alla Gran Bretagna, è anche un voto contrario alla posizione politica degli Stati Uniti, che stanno caldeggiando l’ingresso inglese nella Comunità Europea. Significativo a questo proposito il discorso a Filadelfia del 4 luglio 1962: con questo intervento il presidente Kennedy invita la CEE ad operare per favorire l’ingresso del Regno Unito nella istituzione europea. Con il suo voto contrario la Francia dice quindi no alla Gran Bretagna, ma nello stesso tempo dice no alla politica degli Stati Uniti. Prima però di esaminare il percorso che provoca un periodo di crisi dell’Europa comunitaria e alla successiva uscita di scena del Generale De Gaulle per questioni interne della Francia, è utile mettere in rilievo la posizione dell’Italia nel periodo 1958-1963.
Ancora una volta l’Italia si trova a vivere un momento delicato. In primo luogo si sente legata agli altri cinque stati europei e quindi lavora per costruire la Comunità Europea. In secondo luogo è anche convinta di avere un ruolo nel Mediterraneo e di conseguenza in politica estera si propone come l’istituzione, che può svolgere, d’intesa con gli americani, un’azione di sviluppo della presenza occidentale nel mare nostrum. Per quanto riguarda infine la politica interna deve risolvere un altro problema, quello di convincere gli Stati Uniti della validità del nuovo corso governativo, basato su un programma di centro-sinistra , programma , che dopo i dubbi dell’amministrazione repubblicana, trova il pieno appoggio del democratico Kennedy. Con queste tre problematiche, il governo Fanfani imposta il suo lavoro anche a livello europeo. La posizione italiana però è destinata a creare reazioni negative. Si ha una prova di tutte queste frizioni nel 1962 quando, per dare un segnale anche agli Stati Uniti, l’Italia prende posizione a favore dell’ingresso nella CEE dell’Inghilterra, dichiarando apertamente che “l’Italia non avrebbe accolto nessuna proposta sull’unione politica, finché non fosse stato risolto il problema inglese.” Le reazioni francesi a questa dichiarazione non si fanno attendere.
In questa situazione di difficoltà internazionale, basato essenzialmente sul duplice no di De Gaulle all’Inghilterra e di conseguenza agli Stati Uniti, non solo svanisce il sogno di De Gaulle di creare un’Europa degli stati ma all’interno della CEE si verificano fatti idonei a produrre momenti di forte tensione, anche se non sono tali da far crollare l’ ancora debole istituzione comunitaria. Per non evitare catastrofiche conseguenze viene adottato dalla Commissione europea , in particolare negli anni 1962-1964 , il “metodo della sincronizzazione”. In altre parole la Commissione evita di portare avanti trattative di carattere globale e prende in esame solo aspetti particolari di questioni generali, aspetti cioè che possono essere considerati condivisibili da tutte le parti oppure che possono essere oggetto di compromessi. Con questa linea operativa si evitano bocciature e le conseguenti paralisi del funzionamento, raggiungendo in diverse fasi di lavoro concreti risultati positivi. Un significativo esempio di questo risultato positivo si ha nel settore dell’agricoltura, settore che, come abbiamo già sottolineato, interessa particolarmente alla Francia. In questi mesi però un fatto è destinato a produrre una grave crisi, crisi che alla fine produrrà anche il tramonto definitivo delle mire di De Gaulle. Il presidente della Commissione, il tedesco Hallstein, valutando opportuni i tempi, vista la collaborazione degli stati membri, decide forzare la mano e produce per l’approvazione della Commissione un dossier con due punti molto importanti. Il primo punto riguarda la possibilità per la Comunità di avere un bilancio proprio, il secondo prevede invece maggiori poteri di controllo da parte dell’Assemblea parlamentare. Appare subito evidente che questo piani e in totale contrasto con la visione dell’Europa del generale De Gaulle, che non solo nel consiglio del 29 giugno 1965 boccia il documento, ma addirittura ritira la delegazione francese dalle istituzioni comunitarie. La profonda crisi, che ne segue, per un semestre, crea una serie di difficoltà . La più evidente il blocco della possibilità di deliberare, in conseguenza della “sedia vuota” lasciata dalla Francia. In seguito ad un grosso lavoro diplomatico nel consiglio del 30 gennaio 1966 viene trovata una soluzione. De Gaulle infatti, che nel frattempo, nelle elezioni politiche francesi viene riconfermato presidente anche se con consensi minori rispetto al passato, decide di accogliere la soluzione di compromesso che gli viene offerta. Si tratta di una soluzione pasticciata, ma comunque utile a salvare la Comunità europea. La soluzione prevede che, in caso di mancato accordo tra gli stati, anziché passare al voto, la trattativa debba continuare fino al raggiungimento dell’unanimità.
Dopo il progetto bocciato di Hallstein e la fase di stallo successiva, a scuotere la CEE è la Gran Bretagna, che presenta con il nuovo capo del governo, il laburista Wilson, nell’autunno del 1966 una nuova domanda per entrare a far parte dell’Europa unita. Wilson, che subentra al conservatore McMillan, per fronteggiare la pesante crisi economica, nella quale si trova l’Inghilterra, bussa alla porta dell’Europa dei Sei. In questa fase la diplomazia italiana fa sentire la sua voce, perché da due anni, grazie impegno diplomatico del ministro degli esteri Giuseppe Saragat, ha acquisito una posizione di rilievo all’interno della Commissione. Saragat ha presentato anche un progetto sperimentale di nuova Comunità europea. Inutile dire che il progetto viene bocciato da De Gaulle, ma ha il pregio di aver riavviato il dibattito tra gli stati interessati. La questione Inghilterra, dopo la nuova istanza di Wilson, viene subito ripresa dalla diplomazia italiana. Il ministro degli esteri, Amintore Fanfani, durante un incontro a Roma dei capi di stato e di governo, nel maggio 1967 in occasione della celebrazione del decennale dei trattati di Roma, ripropone la questione inglese tra gli argomenti delle giornate, ma non ottiene l’assenso di De Gaulle, che ancora una volta ribadisce il suo no all’ingresso del Regno Unito, con una nuova motivazione: non è un no di carattere politico, ma è un no basato su principi di carattere economico. Le cose stanno dunque cambiando. Qualche mese dopo, mentre il ministro italiano degli esteri, Pietro Nenni ed il suo consigliere Altiero Spinelli lavorano per costruire il consenso necessario per l’entrata del Regno Unito nella CEE, De Gaulle per non perdere la scena organizza un colpo di teatro. L’inquilino dell’Eliseo riceve infatti l’ambasciatore inglese e gli propone un progetto, che sarebbe dovuto restare segreto: Francia ed Inghilterra avrebbero creato un direttorio, che dopo la loro sottoscrizione si sarebbe allargato anche a Italia e Germania. Poiché però la proposta non resta segreta, tutto svanisce nel nulla. Con due fatti da registrare in questo periodo: l’Inghilterra resta ancora fuori e De Gaulle per questioni di politica interna, con sdegno, lascia la presidenza della repubblica francese e la vita politica.
Dopo i primi dieci anni la Comunità, che è ancora in vita, non è né quella voluta dai federalisti, che sognano un Europa sovra nazionale, né quella voluta dai funzionalisti, che immaginano in termini positivi la gestione centralizzata di alcune funzioni. Di conseguenza sia gli uni che gli altri pensano a potenziare il Parlamento, che fino a questo momento ha avuto un ruolo praticamente insignificante, per metterlo in condizione di poter sviluppare una vera politica comunitaria. Per dare al Parlamento questa funzione, bisogna garantirgli un forte legame democratico. Nel periodo successivo molti saranno gli sforzi compiuti in questa direzione.