Il 23 maggio 1992, a 53 anni, moriva in un agguato di mafia il giudice siciliano Giovanni Falcone. La carriera, dopo gli studi universitari e il concorso in magistratura, decolla subito, passando da pretore a sostituto procuratore a Trapani, dove rimane per oltre dieci anni, maturando l’attitudine verso il settore penale. Alla soglia degli Anni Ottanta, dopo l’attentato al giudice Terranova, Falcone comincia a lavorare a Palermo presso l’Ufficio istruzione, dove il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affida le indagini contro Rosario Spatola, un processo che riguarda anche la criminalità statunitense, dove chi vi lavorava, il procuratore Gaetano Costa, affrontò parecchi ostacoli prima di essere ucciso.
Sotto Chinnici si forma una squadra di magistrati, oltre Falcone, tra cui Paolo Borsellino, che sarà l’ennesima vittima di mafia, costituendo quello che verrà chiamato “pool antimafia”. Il pentito Tommaso Buscetta rappresenterà il punto di svolta dei fatti mafiosi nell’organizzazione di “Cosa nostra”, organizzazione criminale di stampo mafioso-terroristico presente in Sicilia, Italia, e in più parti del mondo. Collaboratori stretti di Falcone e Borsellino sono uccisi in quegli anni, e questo fatto porta, per ragioni di sicurezza, al trasferimento all’Asinara delle famiglie dei due magistrati.
La sentenza di condanna a Cosa nostra nel primo maxiprocesso del 1987, emessa dalla Corte di Assise di Palermo, dopo quasi due anni di udienze, si ripercuote in modo negativo sulla vita di Falcone e del pool, che viene sciolto. Falcone non si ferma, però, e realizza un’importante operazione in collaborazione con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, denominata “Iron Tower”, colpendo le famiglie dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina.
La vita del magistrato prosegue tra un fallito attentato, minacciose lettere anonime, la nomina a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, altre inchieste mafiose, fino all’invito, accolto, del vicepresidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, che aveva assunto l’interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero, assumendosi l’onere di coordinare una vasta materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione internazionale.
Tenace, schivo, discusso, Falcone ha lottato in vita per tutelare la propria autonomia di giudice in trincea contro la mafia, così come ha fatto Borsellino. Entrambi, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, conclusero le proprie esistenze tragicamente: Falcone in macchina all’altezza di Capaci sotto 500 chili di tritolo insieme con la moglie Francesca Morvillo, e tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, mentre Borsellino ucciso da un’autobomba a Palermo in via D’Amelio. “E abbiamo tanti segnali che ci fanno temere che possano accadere delle cose spiacevoli nel prossimo futuro”, dichiarò Giovanni Falcone in un’intervista alla Rai.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, è arrivato nel luogo della strage di Capaci e ha deposto una corona d’alloro sotto la Stele dedicata al giudice Giovanni Falcone e agli uomini della sua scorta in occasione del XXVII anniversario dell’eccidio. Il premier ha visitato il “Giardino della memoria”. Il corteo poi proseguirà per raggiungere l’Aula Bunker del carcere dell’Ucciardone dove si svolgono le celebrazioni istituzionali.
Simona Cocola